DEEP PURPLE Tutti i rumori del mondo

Torino, prima tappa italiana del tour del mitico gruppo, uno dei più longevi della storia del rock Torino, prima tappa italiana del tour del mitico gruppo, uno dei più longevi della storia del rock DEEP PURPLE Tutti i rumori del mondo TORINO. Se le enciclopedie rock si sono stufate di elencarne gli innumerevoli cambi di formazione, se la loro etichetta si dimentica addirittura di far sapere che è uscito un nuovo disco («Purpendicular», che fantasia), per non esser da meno il promoter nazionale ha confezionato in modo quasi clandestino il tour dei Deep Purple, partito l'altra sera dal vecchio e sempre più malconcio Palasport. Tanti scoraggianti segnali di oblio cozzano però contro la leggenda, che potrà immalinconire i cinquantenni loro coetanei ma attira i giovani come le mosche: e infatti erano in cinquemila almeno al debutto, quasi tutti giovani e/o stravaganti, a godersi il concerto di questo mausoleo vivente dell'hard rock, nell'attuale fase storica privo del chitarrista fondatore Ritchie Blackmore, ora sostituito dall'ex jazzista Steve Morse ma domani chissà. Nati nel fatidico '68 con la voglia di fuggire ad esperienze psichedeliche e al rock sinfonico, i Deep Purple sono la madre di tutti i rumori messi insieme a fini estetici e convogliati poi in un suono dominato da chitarre heavy metal e dal libero fiorire delle tastiere, il tutto amalgamato con rara classe e gusto dell'invenzione, con linee melodiche spesso eccellenti e un'impronta inconfondibile; all'apice del successo (metà dei Settanta) furono catalogati nel Guinness dei primati come la più assordante rockband: ma giustizia impone di precisare che gli epigoni (innumerevoli, e tutti figli loro), sono stati assai più rumorosi ma molto meno creativi. Sono anche una delle band più longeve, i Deep Purple, contrassegnata però da un furioso andirivieni dei componenti e anche da una causa, per l'uso del nome, intentata nell'80 da Blackmore e Glover per proibire a Rod Evans di rimettere insieme i pezzi di una storia gloriosa. Sul palco del Palasport c'erano perciò anche facce da guardare, oltre che suoni da ascoltare: il tastierista Jon Lord, per esempio, con la sua testa tutta candida da nonnetto e 55 anni, ha provocato non poco il pubblico impegnandosi in una lunga suite solista, una sorta di hard/' new-age nella quale correva da Bach ai giorni nostri con eleganza svagata, guada- gnandosi (imperturbabile) una bella selva di fischi. Si sospetta che tante pause strumentali fossero anche per dare un po' di tregua a Ian Gillan, turbolento prota¬ gonista vocale che entrò nel gruppo nel '69 dopo aver cantato in «Jesus Christ Superstar», se ne andò nel '73 per seguire una carriera solista rimpiazzato da David Co- verdale, finì nei Black Sabbath e adesso è di nuovo fra i suoi: quando riesce ad accumulare abbastanza fiato per un paio di minuti jalla vecchia maniera, Gillan è impagabile. Lo ha fatto egregiamente per «Smoke on the Water», il brano che è un po' il marchio del gruppo, ripreso in tutto il mondo in mille versioni e nato per scherzare sull'incendio che distrusse completamente il casinò di Montreux: lo hanno accolto tutti con le braccia alzate, e pazienza i vezzi da vecchia zia di Gillan, quell'arrivare in scena con i capelli lunghi tirati su, quello scioglierli al vento neanche fosse Valeria Marini. Sarà l'età, sarà anche la consapevolezza d'un ruolo carismatico di inventori di un genere che ha fatto innumerevoli proseliti, qualche debolezza bisogna pur concederla. Steve Morse fa del meglio per surrogare Blackmore, svecchia un pochino il sound; gl'impasti vocali sono dei più classici; non bisogna infine dimenticare la tecnica personalissima del batterista Ian Paice, che vanta tanti tentativi di imitazione quanti la Settimana Enigmistica, e che ha furoreggiato in un a-solo lunghissimo, di quelli che oggi nessuno si sogna più di fare. Alla fine, è stato un concerto volenteroso e affettuoso, con sprazzi di vecchia classe e qualche malinconico slowdown, con la ripresa del vecchio demo «Rosa's Cantina», quasi un musical; e blues da far svenire, con «When A Blind Man Cries»; e le allucinazioni di «Woman from Tokyo» e il punk di «Hey Cisco». Neanche due ore di musica: ma siamo sicuri che li rivedremo, fors'anche per un'ora sola e a 70 anni, i vecchi cari Deep Purple. Marinella Venegoni Nati nel '68, arrivati all'apice del successo a metà degli Anni 70 Ma il loro pubblico è composto da giovani I «Deep Purple»: il gruppo sarà stasera a Bolzano, domani a Bologna lan Gillan turbolento protagonista vocale ritornato nel gruppo dopo essersene allontanato nel 1973

Luoghi citati: Bologna, Bolzano, Rod, Tokyo, Torino