I militi ignoti del best seller

LA STAMPA Dall'America nuova ondata di scrittori sconosciuti che raccontano il proprio disagio: sono il fenomeno editoriale dell'anno rwiì MILANO 111 UTTO è cominciato a Baltimora nel maggio del 1989, durante un convegno sui J=J disturbi emotivi. In quell'occasione lo scrittore americano William Styron raggiunse il palco e prese la parola. «A Parigi, nel 1985 cominciò - in una gelida serata di fine ottobre, per la prima volta mi resi conto che la battaglia contro la malattia della mia mente, una battaglia che mi teneva impegnato da molti mesi, avrebbe potuto avere un esito fatale...». Sono le prime parole di quello che sarebbe diventato Un'oscurità trasparente, il bellissimo libro in cui l'autore della Scelta di Sofia parlava per la prima volta di sé, disegnando sulla pagina il percorso della depressione che per anni lo ha tenuto sul filo del suicidio. Fu una sorpresa, uno choc e un best-seller, che proprio in questi giorni viene riproposto da Leonardo. E fu l'inizio di una rivoluzione. Quello che è accaduto dopo, infatti, è che l'esempio dato da Styron di una scrittura confessionale, nuda e liberatoria, attraverso la quale comunicare al mondo la storia del proprio rapporto con una grave malattia, un lutto, o un grande dolore, è stato seguito da un numero sempre maggiore di persone, fino al boom che ha raggiunto in questi ultimi mesi. E la cosa più strana è che salvo eccezioni a praticare questo genere non sono autori già affermati, romanzieri o saggisti, ma sconosciuti che si rivolgono al pubblico per il semplice fatto di aver conosciuto il dolore, di averlo affrontato e magari sconfitto. Non-celebrity memoir si chiama questo tipo di saggistica negli Stati Uniti, dove lo scorso anno ha prodotto ben duecento titoli, spingendo i librai a far fronte all'offerta creando apposite zone nelle librerie. Saggistica confessionale potremmo chiamarla noi, che non l'abbiamo soltanto importata, ma continuiamo ad arricchirla con nuovi titoli ogni settimana. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. E' dell'altro ieri la presentazione a Milano di Una mente inquieta di Kay Redfield Jamison, americana bionda e dall'aria solidissima, che ha confessato invece di aver vissuto per anni nascondendo la propria fragilità ai colleghi medici, insieme agli psicofarmaci, i vestiti e gli orologi di lusso, comprati all'ingrosso mentre ossessivamente si chiedeva «chi sono?», in una spirale maniaco-depressiva. La storia di Kay Redfield Jamison, oggi una delle maggiori autorità nel campo della ricerca sulla depressione, è una storia a lieto fine a metà, come molte di queste, che si risolvono in una redenzione patteggiata, e nella consapevolezza che certe cicatrici sono sfregi che non c'è modo di cancellare. Prendiamo il finale di Wasted (Gettata via), che le case editrici americane si sono appena contese in un'asta feroce, e che Cecilia Perucci si è aggiudicata per Corbaccio, nei cui tipi uscirà l'anno prossimo. Dopo aver ricostruito i passaggi di un'anoressia nata a quattro anni nella sala di specchi di una scuola di danza, la giovane autrice Marya Hornbacher guarda con sgomento alla propria guarigione, che non sa come affrontare: «Prima avevo lo scopo di distruggermi, e ora? A ventidue anni, qual è il mio scopo?». Capostipite del filone sull'anoressia vissuta sulla propria pelle è Tutto il pane del mondo di Fabiola De Clerq, «il primo vero libro di rottura», dicono alla Bompiani, che nel '95 lo ha proposto in paperback vendendone 50 mila copie, dopo le 60 già realizzate da Sansoni nell'e- dizione rilegata. Il suo seguito, Donne invisìbili (Bompiani), scritto da questa donna febbrile e combattiva, raccontava quali eventi seguirono quel successo: la nascita dell'Associazione Bulimia Anoressia a Milano e la storia di chi lì dentro combatte la propria battaglia. Insieme a Brìciole di Alessandra Arachi (Feltrinelli) e al long-seller di Elisabeth Shute, Una perfetta ossessione (FrassineUi), quattro libri che hanno lasciato il segno. Ma questa bibliografia del dolore che ad alcuni non piace (si veda l'opinione di Gianandrea Piccioli nel riquadro) e di cui fanno parte titoli recenti come Forte vento sulla casa rosa (FrassineUi), di Virginia Ciuffini (aiutata daUa soreUa Sabrina a sconfiggere la leucemia), o come Voglia di madre di SteUa Pende (Corbaccio), che ha raccolto le testimonianze di donne che avevano perduto la madre, merita deUe considerazioni. La prima è che segna evidentemente una svolta democratica neUa produzione «narrati¬ va» dimostrando in sostanza che «ognuno ha un libro dentro di sé», come è sempre piaciuto credere a tutti, soprattutto a chi non ne ha mai letto uno. La seconda è che riflette un certo stato d'animo della nostra società, un carattere della nostra cultura, queUo che porta le persone più insospettabUi a confessarsi nei talk show televisivi di fronte a un pubbhco voyeur. La terza è che si può discutere finché si vuole suUa morte o la rinascita del romanzo, ma questa tendenza porta acqua aUa tesi che chi cerca fatti, e risposte, li cerca ormai fuori daUa narrativa, in un'area in cui l'offerta cresce e la domanda pure. E infine ci si potrebbe interrogare se sia o non sia U caso di dare importanza aUa sincerità di questi libri, chiedendosi quale verità raccontino, perché, come ha sottolineato Janet Malcolm nel suo splendido The silent woman (Knopf), «U soggetto di un'autobiografia non è meno aUa mercè deUo scrittore del soggetto di una biogra¬ fia». Tanto per fare un esempio, Katharine Hepburn, che da bambina visse il trauma di scoprire suo frateUo che si era impiccato, e che da vecchia si è raccontata nel libro Me, ha dato almeno una dozzina di versioni di queU'episodio. E poi c'è la distinzione di grado: c'è la memoria di genere popolare e queUa alta, in cui si lavora sodo anche con la lingua e si tentano magari sperimentazioni. Tra le uscite più recenti si potrebbero annoverare nel primo gruppo Ho ammazza¬ to Gigi Rizzi (Rizzoli), in cui il medesimo risorge dai rotocalchi degli anni 60 per raccontare, tra l'altro, gli anni della cocaina e di una terapia di gruppo in Argentina, e Vestita di nuvole di Maria Simona Bellini, presentata da Mino Damato (Sperling), che scioglie in un rac conto la sua battaglia di madre con una figlia fortemente handicappata. Il lettore più esigente sul piano deUa lingua può invece rivolgersi a La felicità difficile di Elisabeth Wurtzel, epica di una depressione splendidamente raccontata (RizzoU); o a Una barchetta di carta di Renata Maestroni, che ha accompagnato aUa morte la figlia diciottenne malata di Aids. Quanto durerà ancora questo confessionismo, che è ormai moda editoriale? C'è chi dice che si esaurirà presto per eccesso di sfruttamento: dopotutto un autore può scrivere molti romanzi, ma poche autobiografie. Ma potrebbe anche resistere grazie alla solidità di titoli come La ragazza interrotta di Susanna Kaysen (Corbaccio), o Salto di corsia di Giovanna Tilche Nociti (Rizzoli), che non solo dà una speranza di salvezza anche a chi è colpito daUa sclerosi a placche, ma solleva una questione di impegno e di vivacità intellettuale. Tra tanta variegata offerta, le memorie di grandi dolori d'autore come Un clandestino a bordo della Maraini (Rizzoli) e Paula di Isabel AUende (Feltrinelh) restano quasi sommerse. Solo Styron, tra gli intellettuali, resta per molti di questi scrittori spontanei un vero punto di riferimento. Forse per quella conclusione dantesca, «e quindi uscimmo a riveder le stelle», che è il finale che vorrebbero scrivere tutti. Livia Manera La tendenza ha preso il via nel 1989 con il libro di William Styron, «Un'oscurità trasparente» Poi è venuto il boom dei «debuttanti» che raccontano il loro rapporto con lutti e malattie

Luoghi citati: Baltimora, Milano, Parigi, Sofia, Stati Uniti