«Bossi ha paura di me»
Interno Inchiesta Phoney Money: il senatur rifiuta il confronto «Bossi ha paura di me» Ferramonti: teme la verità su Marmi AOSTA. Negli Anni 80 in giro per il mondo «a vendere tecnologia», i primi dei 90 trascorsi a mettere a frutto le tante conoscenze e a pensare anche alla politica. «Sono stato imprenditore», dice di sé Gianmario Ferramonti. E adesso? «Faccio incontrare amici». E' al centro di un'inchiesta. Anzi di tre. Ieri era a Brescia davanti a tre magistrati, Fabio Salamone e Silvio Bonfigli, e David Monti, di Aosta. Le inchieste: il «dossier Achille», quello sullo «spionaggio» al lavoro di Antonio Di Pietro magistrato e al pool di «mani pulite»; «Phoney money», truffa internazionale da 20 mila miliardi e «lobbing», indagine parallela su un intreccio tra spie e massoneria internazionale, la nuova P2. Ieri doveva essere il momento della «verità», il confronto tra Ferramonti, ex leghista, ex amministratore della finanziaria della Lega Nord, il «senatur» Umberto Bossi e Roberto Maroni. Incontri già falliti ad Aosta. Bossi la evita? «Eccome. Ha paura. Perché? Per il confronto. Si fa tra due persone che dicono cose opposte. E lui, dico Bossi, questo cuore impavido, mi sfugge. E due, già è la seconda volta che non mi vuole vedere davanti ai giudici. Uno di noi dice bugie, è evidente». Quali sono le due verità? «Quella bossiana è che gli incontri romani, con l'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, erano stati organizzati per lo scambio di un leghista dall'Interno alla Difesa. Quella mia, quella vera, è che servivano invece per far diventare Maroni ministro dell'Interno». Maroni dice che non è vero. «Lo dica ai giudici davanti a me». E' questa la nuova P2, questo turbillon d'incontri, questo spaziare con disinvoltura dall'alta finanza alla politica per decidere le sorti del Paese? «La P2? Ma come può esserci una nuova associazione segreta, quando la vecchia c'è ancora? Gelli non è mica morto e tutti i grandi nomi della P2, non quelli scritti, sono ancora lì ai posti di comando. No, non c'è spazio per una nuova P2». Lei conosce mezzo mondo, anzi, fa incontrare mezzo mondo. Ma che lavoro fa? «Facevo l'imprenditore, ho conosciuto queste persone, adesso le faccio incontrare». E la Lega? «Cosa diversa. Ci credevo, poi Bossi è partito per la sua tangente e nel '94 l'ho lasciato». Lei sostiene di essere il padre del Polo. «No, il nonno. Non dico mai una cosa che non sia provata. E' un vizio che mi porto dietro dall'infan¬ zia. Io ho detto a Guido Possa, segretario di Berlusconi, di fare il Polo. Era un'altra operazione di marketing. Non mi sembra che nessuno mi abbia mai smentito». Ferrara dice di non conoscere questa genesi del Polo e che lei è un nonno ingombrante. «Perché ingombrante? Vorrei parlare con Ferrara, gliene direi di cose che non sa sul Polo». Che cosa sa dei «gold bond» della Repubblica di Weimar? «So che non è una truffa. Che ce n'è di veri e fasulli e che quelli falsi non li ho mai visti. So che ho fatto incontrare due amici a Mosca, Chester Gray e il diplomatico Anatolij Adamishin. La Russia poteva comprarli, i bond». Enrico Martine! li faccendiere Gianmario Ferramonti interrogato ieri a Brescia da Fabio Salamone, Silvio Bonfigli e David Monti
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