«Li hanno ammazzati»

La sorella di uno dei suicidi accusa «Coperti di fango». E i vicini: su di loro infamie incredibili «ti hanno ammanati» La sorella di uno dei suicidi accusa UN PAESE SOTTO CHOC BIELLA DAL NOSTRO INVIATO «Sono tutte infamie. Infamie. Io ce l'ho con la giustizia italiana, e con tutti quelli che hanno ammazzato la mia famiglia». La casa rosa in cui abita questa donna che urla alla finestra è in mezzo ad altre case, con altre finestre che si aprono su quelle grida, gente che esce a vedere che cosa ancora succede, alla signora Maria, sorella «della povera signora Alba, quella che si è ammazzata per quella storia di porcherie». Lei urla «li avete infamati», grida forte al vento che sbatte le persiane «lasciatemi sola con il mio dolore, non ci avete fatto abbastanza male, tutti voi?», sbatte in faccia al mondo «quelle infamie», e la voce insiste sulle «e», fino a strozzarsi. E le finestre vicine si richiudono di colpo, per non vedere e non sentire quella disperazione. Una tragedia per tutti, anche per questa donna bionda e disfatta dalla stanchezza, che è appena tornata da un obitorio dove ha visto, allineati uno vicino all'altro, i cadaveri della sorella, del cognato e dei suoi due nipoti. Quattro corpi che ieri sono stati sottoposti all'autopsia, come si fa sempre in questi casi, e che oggi pomeriggio verranno seppelliti nel cimitero del paese. Tocca a Maria, adesso, ereditare la casa e i beni di proprietà dei morti. Una casa vuota, davanti alla quale la gente passa in silenzio, abbassa la testa e tira diritto. Tocca a lei cercare quattro loculi vicini, e un'impresa di pompe funebri, e riaprire la porta di una casa che nessuno, forse, vorrà più abitare. E le tocca anche di difendere la loro memoria davanti al paese che seguirà, forse, i funerali. Dietro alle quattro bare, praticamente sola, ci sarà lei. «Infamie». «Sì, li hanno coperti di fango», dice piano la donna ferma sulla piazza, davanti ai quattro banchi del mercato del venerdì. E così pensano in tanti. Fango, fango su «una famiglia di lavoratori, di gente perbene, che ha sempre fatto il suo dovere». «Erano persone religiose», dice don Renato, il parroco. «Nell'ultimo anno li ho seguiti molto, erano agitati, disperati. Ogni volta che li andavo a trovare mi dicevano "siamo innocenti", ed erano arrabbiati, non se ne facevano una ragione di quelle accuse. E' una storia che non doveva capitare». E invece è capitata, e adesso la gente si passa i giornali con le foto dei morti, parla di loro abbassando la voce, forse si pente di aver malpensato. Qualcuno dà retta al parroco che dice «forse gli inquirenti hanno creduto troppo a una madre e ai bambini». Ma qualcuno no, dice «che se i giudici hanno stabilito che quelle cose erano vere, allora è così, e noi dobbiamo credergli». Tra il negozio di casalinghi e il monumento ai caduti, sul pavé della via principale e nei portoni che danno sui cortili freschi, la gente parla1 piano e dice «asfissiati», «autopsia», «quelle accuse», «il divano», fruga nelle ultime ore dei morti, dice «e pensare che la settimana scorsa lui è venuto a far riparare la Uno» (il meccanico), «Alba mi ha detto che piuttosto di sentire dire certe cose sul loro conto, si sarebbe ammazzata» (Adele, la vecchia maestra di Guido), «la Cristina me la ricordo quando vennero a portare via i bambini, con le volanti a sirene spiegate, che tragedia». Sì, che tragedia. Per tutti. Anche per questo paese di mezza montagna, 1800 abitanti che adesso si sentono anche loro coperti di fan¬ go. Il sindaco è seduto nel suo ufficio piccolo piccolo, sbuffa nel caldo e dice «ero in ospedale, quando ho avuto la notizia. Non sono potuto andare a vederli, e del resto non è mai un bello spettacolo. L'anno scorso sono dovuto andare da uno che si era sparato qui, un colpo di fucile», e mette un dito sul collo, «qui, non era un bel vedere». Una famiglia chiusa, «dove co¬ mandava la Alba. E la figlia. Gli uomini? Contavano poco». Signor sindaco, com'era questa famiglia? «Perbene, e poi l'Attilio lo conoscevo da una vita. Impeccabili tutti, le donne sempre ben pettinate, ben vestite. E anche lui, l'Attilio, quando tornava dall'orto passava in casa a cambiarsi i vestiti. Non gli piaceva farsi vedere sporco. E sporco non era nemmeno dentro, dico rispetto alle cose sessuali. Perché quando eravamo più giovani, e si scendeva a Biella a fare gli stupidi, lui si fermava al caffè. Assieme a noi più giovani non veniva mai». «I bambini hanno inventato», dice la vecchia ferma vicino all'aiuola sulla piazza. Può darsi. L'avvocato Bodo, che allarga le braccia e dice «ormai il mio mandato è finito, tutti morti», mette sul tavolo le fotocopie dei disegni di Paola, la bambina. Pupazzi e piccoli alberi, «Cara mamma, ti trovi bene nella tua nuova casa? Lo zio Guido mi ha messo la televisione in camera?», «Cari nonni, come state?». «Ecco, vede, questa bambina aveva voglia di tornare a casa dalla mamma. Altroché abusi. Guardi qua». Il foglio pasticciato da Paola è dedicato «a mamma e nonna, e nonno». «Questa è la prova che non ha mai subito un trauma». Sarà. Però pare anche che poco prima di quel pomeriggio dell'audizione dietro al vetro, Cristina abbia cercato di far avere alla bambina un biglietto, un messaggio che diceva «non dire che sono vere le cose che ha detto Marco». Biglietto intercettato, forse mai arrivato a Paola. Ma - se è davvero andata così - perché tutta quella paura per le dichiarazioni di Paola? «La verità se la son portata dietro loro quattro. E noi, sotto questo fango...». Brunella Giovara Prima dell'udienza decisiva la madre avrebbe cercato di far avere alla bimba un biglietto: «Non dire che è vero» Da sinistra il paese teatro della tragedia e il garage in cui si sono uccisi nonni e genitori dei bimbi

Persone citate: Brunella Giovara

Luoghi citati: Biella