IL NORD HA BISOGNO DI STATO di Luigi La Spina
UN PAESE SOTTO CHOC IL NORD HA BISOGNO DI STATO la metà vogliono davvero il distacco dal Parlamento di Roma? Perché si teme che la predicazione di Bossi, i boicottaggi fiscali della Life contro la Guardia di Finanza e la moda estiva delle camicie verdi conquistino, dalle valli bergamasche e dalle piane trevigiane, città come Torino, Milano, Genova e magari anche la prodiana Bologna? Perché proprio dietro Prodi dovrebbe stagliarsi l'ombra di Facta, dietro Maroni addirittura Himmler e via rabbrividendo? L'alternarsi sorprendente di minacce e di lusinghe nei confronti del Carroccio, il cocktail di paura e di disprezzo davanti a Bossi, lo sconcerto e la sostanziale afasia dello Stato in una apparente offensiva verbale contro i «secessionisti», non si spiegano se non nella profonda consapevolezza di un compito molto difficile. E non per la pericolosità delle armate leghiste, per l'efficacia degli slogati avversari, per il ribellismo delle popolazioni «da conquistare». La comprensibile preoccupazione della classe dirigente nazionale dovrebbe nascere da un paradosso che, invece, racchiude una verità: chi, nel Nord, dice di voler abbandonare lo Stato nazionale e pensa che sia dannoso per i suoi interessi, in realtà ha bisogno dello Stato, anzi proprio adesso incomincia a non poterne fare più a meno. Il vero timore dovrebbe essere quello di non essere in grado di «dare Stato», non quello di essere costretti a «togliere Stato» al favoleggiato Nord-Est. Per chi ama la storia e i cosiddetti suoi «ricorsi», il paragone con l'inizio di «Tangentopoli» è suggestivo. Anche allora la Lega fece da catalizzatore di una emergenza «finanziaria»: la crisi dei primi Anni 90 rese impossibile al sistema economico sopportare i costi impropri di una corruzione sistematica e generalizzata che, negli Anni 80, anni di espansione e di sviluppo turbinoso, erano invece tollerabili. Così, ora, la crisi di quel modello economico, fondato sulla lira debole e sui mercati esteri, riduce i margini per sopportare non la «presenza» dello Stato, ma la sua «assenza», in termini di servizi corrisposti di fronte alle tasse. Se prima i margini di guadagno potevano supplire alle carenze di qualificazione professionale, di garanzie sanitarie, con il ricorso al «fai da te», se si pensava di poter fare a meno di «casse integrazioni» o di aiuti all'export, ora, la mancanza di Stato diviene drammatica. Le parole di odio per lo Stato celano, perciò, non l'indifferenza di chi si sente così forte da farne a meno, ma il grido di dolore di chi si scopre improvvisamente debole e si sente tradito da chi potrebbe (e dovrebbe) aiutarlo. Se i nordisti mitici, immaginari rivoluzionari del Duemila, hanno bisogno dello Stato italiano, ancor più hanno bisogno del mercato italiano, visto che oltralpe la lira non fa più supersconti e la speranza dei consumi nazionali da accrescere offre l'unica concreta via d'uscita a castelli troppo presto innalzati su fragili ponteggi. E l'illusione di uno Stato «padano» su misura, in un mercato «autoctono» fuori misura, è evidentemente impossibile. Ecco perché è più facile per Prodi e il suo governo minacciare i carabinieri e promettere, a turno e un po' a caso, decentramenti fiscali, autonomie amministrative. Il tutto condito dalla parola passe-partout, «federalismo». Ecco perché è più semplice dire di voler trasformare il Senato in una Camera delle regioni, come il Bundesrat tedesco. E magari è anche più comodo, anche se un po' rischioso, parlare di un «problema politico e non di ordine pubblico». Certo si tratta di un problema politico, se politica vuol dire far funzionare le scuole pubbliche, la sanità pubblica, il fìsco, le poste, le ferrovie. Se si pensano queste cose, come sembrano vicini il profondo Nord e il profondo Sud. Ma non è una consolazione. Luigi La Spina
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