«Il tedesco? Un signore» di Pierangelo Sapegno

Un'organizzazione che si occupa di difendere gli orfani di Hitler «Il tedesco? Un signore» «Dava lezioni e faceva la spesa» NEL RIFUGIO MILANESE ALBIATE (Milano) DAL NOSTRO INVIATO Arrivò qui 16 anni fa, quando la Mariuccia trovò marito e il parroco non era don Franco. Però il paese era già allora tutto qui, queste stradine piatte che tagliano i campi e le case che fanno grappoli spersi, affogati sotto al sole. Per andare a Milano ci vuole anche un'oretta di traffico, e la Brianza che piace, quella di dossi fioriti e di vigneti, da qui uno manco se l'immagina. Lui arrivò e trovò casa alla Fornacette, in quel condominio grigio dietro al benzinaio che adesso si asciuga le mani nello straccio. «Proprio lì, in quel palazzo. Ma io non c'ero allora», dice puntando il dito. Il tedesco, dicevano quando lui passava a piedi con la moglie e la figlia e si girava a salutar tutti con un cenno del capo. «Eh, certa gente ci nasce così», commenta la giornalaia dell'angolo. Così come? «Signore. Ce l'hanno nel portamento, nei modi». Per questo lui era solo e semplicemente il signore tedesco. Anche oggi che arriva un cronista a chiedere che cosa ci faceva Karl Hass, come viveva, e perché se ne stava proprio qui, così defilato da Milano e così lontano dal cuore dell'Italia bella, quella che piace ai romantici. Anche oggi, la Betti Ghezzi sgrana gli occhi: «Asch chi? Il tedesco, vuol dire? Ah, un signore». C'era da qualche anno, ma era come se ci fosse da una vita, ti spiegano, in questo paese di gente che lavora nei mobilifici e di pomeriggi deserti che il ragazzo dell'officina «Vigano Luigi e Figlio» cerca di far passare nell'unico ritaglio d'ombra sui bordi della strada. Il tedesco era un brav'uomo rimasto solo con il suo gatto nero con una macchia bianca sul muso. Faceva a piedi tutti i giorni dalla sua nuova casa, in via Gramsci 9, al Dosso, dove si era trasferito due anni fa, fino al centro, per far la spesa, e poi di nuovo indietro con i sacchetti di nylon gonfi. A uno così gentile perché si doveva chiedere della guerra e dei nazisti? Se parlava, l'unica cosa che diceva era che il solo rimpianto della sua vita «è che mia moglie Angela sia morta dieci anni prima di me». Così, che c'era arrivato 16 anni fa in questo paese di case basse e di campi piatti, lo si viene a scoprire dai documenti, dalle carte di residenza. Per tutti, per qu'-Hi di Albiate Brianza, era uno di loro e basta, da sempre, e lgro se gli chiedevano di sua figlia' dicevano solo «come sta l'Enrica?», proprio come si fa con un parente, un amico. Sedici anni fa a tener di conto è il 1980. La signora Mariuccia da quei giorni ha fatto i figli, ha conosciuto Hass e sua moglie e non si è mai accorta del tempo che è passato: «Anche lui, il tedesco, è rimasto uguale ad allora». E gli Anni Ottanta sono quelli della caccia all'oro di Fortezza, il tesoro che i nazisti avevano preso alla Repubblica croata, sono i tempi dell'inchiesta del sostituto Carlo Palermo e chissà che qualcuno non si fosse già interessato a lui. Sono gli anni che finisce il terrorismo e vanno nel cassetto i ricordi del passato. E nel 1980, Karl Hass aveva 68 anni. Il tedesco, pardon. «Bello, eh», fa la Betti. Bello come? «Come un attore. Portamento eretto, e che figura. Alto, distinto, raffinato». Sono le stesse parole dei carabinieri di Carate, qualche chilometro più in là: «A noi risulta una brava persona. Ce l'hanno descritto tutti così. Gentile, colta e ratfinata. Se lei va in giro le diranno queste cose. E sapevano bene chi era. Che era un tedesco e che aveva fatto la guerra». Beli, a onor del vero, se lo sapevano non lo ammettono. Il tedesco, e basta, «e la guerra noi non ce la ricordiamo più», come sbuffa il vicino di via Gramsci, con i baffoni e la maglietta viola. Lì, in via Gramsci, Karl Hass manca da parecchi giorni. Eppure la sua casa sembra quella di un uomo uscito da pochi minuti, con le stoviglie sul lavan- dino e un vassoio di mele renette sul tavolo, con il gatto arrotolato su se stesso che spalanca un occhio solo. L'unico segno è quel calendario appeso al muro spalancato sul mese di maggio. Ci sono i gerani rossi molto ben curati disposti in fila indiana sui davanzali delle finestre e all'ingresso. Vuol dire che qualche vicino viene qui e gli tiene la casa. Ma loro, i vicini, sono gli unici che non parlano. Il suo padrone, «l'Ambrella», raccontano le donne all'angolo, «è rimasto scosso. Perché l'hanno descritto come un fucilatorc. Ma quello non ha fucilato nessuno. Se ha ammazzato qualcuno lo avrà fatto durante un combattimento, non a freddo». Non è questa la guerra? E poi, come dice Mariuccia, «se era davvero responsabile di crimini in Italia perché avrebbe dovuto restarsene qui da noi? Perché non scappare in Argentina come Priebke o come tanti altri?» Lui qui faceva una vita così banale. La spesa tutte le mattine, racconta ancora Betti Ghezzi, una passeggiata nei giardini, «e qualche lezione di tedesco. Viveva di quello». Davvero? Karl Hass, il signor tedesco, era stato giornalista. Ufficiale delle SS agli ordini di Kappler. Una guerra persa: «Chi perde ha sempre torto», diceva. E poi 007, trovando anche il tempo, come uà raccontato una volta, di fare «il consulente per Luchino Visconti, nella Caduta degli Dei, e una particina in un film: facevo uno della resistenza antinazista che veniva fucilato». Quando si dice il destino. Lavorò per il Sifar, un passaporto intestato a Rodolfo Giustini. E poi finì qui, a dar lezioni di tedesco e a far la spesa con i sacchetti pieni. Angela, sua moglie, è morta dieci anni fa. Da allora, è vestito sempre come prima, da signore, la camicia bella bianca, la cravatta, la giacca. Solo i calzoni hanno l'orlo stracciato. L'unica fotografia del suo dolore. «E noi quando lo salutavamo, non guardavamo mai i suoi piedi», dice la Betti. Così, per tenerezza. Pierangelo Sapegno Un'organizzazione che si occupa di difendere gli orfani di Hitler iiiii Sfilata a Berlino nel 1938 Sopra, Hass in barella

Luoghi citati: Albiate, Argentina, Berlino, Fortezza, Italia, Milano