Un Brunelleschi di meno di Sergio Trombetta
19 Su «Casabella» la tesi provocatoria di uno studioso americano Un Brunelleschi di meno Non è sua la «Cappella de ' Pazzi» ITI che vanno in briciole. Dopo gli affreschi di Assisi che un recente studio sottrae a Giotto, è la volta della Cappella dei Pazzi, a Firenze. Il gioiello rinascimentale che sorge sulla destra di Santa Croce non sarebbe opera di Filippo Brunelleschi. Molto probabilmente l'architetto che l'ha pensata è Michelozzo. Lo sostiene un professore della New York University, Marvin Trachtenberg, in un saggio che comparirà sulla rivista Casabella in edicola lunedì. E lo sostiene sulla base di fonti del '400. «Leggendo» due documenti inoppugnabili: la Cappella dei Pazzi stessa, e la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, questa sì del Brunelleschi, apparentemente uguale alla prima, eppure fondamentalmente diversa. Il ragionamento di Trachtenberg è questo: «Non c'è fonte attendibile del '400 che attribuisca la Cappella al Brunelleschi; ma soprattutto la rigorosissima filosofia architettonica che presiede alla realizzazione della Sagrestia, adattata alla Cappella, si sfilaccia, si trasforma in elemento decorativo». Cade un altro mito dunque? O forse era già caduto. Perché, assicura il professor Carlo Bertelli, docente di storia dell'arte medievale all'Istituto di Architettura di Venezia, «in ambiente accademico l'attribuzione è dubbia da tempo. Molti sostengono che la Cappella debba essere espunta dal catalogo di Brunelleschi. Io stesso avevo affermato questa tesi nella mostra di Mantova dedicata a Leon Battista Alberti di tre anni fa». La notizia, comunque, non ha fatto piacere agli intellettuali e ai giornalisti concittadini di Brunelleschi quando, in una recente conferenza a Firenze, Francesco Dal Co, direttore di Casabella, ha anticipato il contenuto del saggio. Il professor Dal Co ha deciso di ospitare il saggio dello studioso americano sulla sua autorevole rivista per il grande interesse critico che riveste, e precisa: «Non solo le considerazioni di Trachtenberg sono convincenti, ma soprattutto ne emerge un insegnamento di metodo: andare cioè al di là della filologia di archivio». Secondo quanto afferma l'universitario newyorkese l'unica fonte quattrocentesca che attribuisce all'architetto fiorentino la Cappella è una sua «breve sbrigativa biografia» compresa nel manoscritto sulle vite dei XIV Uomini Singhularii in Firenze» degli Anni 90; mentre il testo di Antonio di Taccio Manetti, di dieci anni precedente, «affidabile, sofisticato e scrupoloso» nelle attribuzioni di opere al Brunelleschi, «non menziona la Cappella Pazzi». Passando ai due edifici, Trachtenberg, nel suo saggio, parte da un'analisi della Sagrestia Vecchia che servì da modello alla Cappella Pazzi e fu costruita per i Medici fra il 1422 e il 1429: «A dispetto della sua apparente semplicità, la Sagrestia Vecchia è spazialmente, strutturalmente e formalmente assai complessa», scrive lo studioso, e precisa: «Il fatto che la complessità reale e immaginaria dello spazio e della struttura della Sagrestia sia così visibilmente presente e coerente è in gran parte dovuto alle membrature in pietra serena, che energicamente e lucidamente ri¬ badiscono la geometria e la perfezione della costruzione. Ma queste membrature in pietra, non applicate come un bassorilievo ornamentale privo di significato tettonico, non solo delineano la geometria dell'interno, ma dimostrano come Brunelleschi le avesse concepite come un secondo, pseudo-strutturale livello di forme solide, tridimensionale seppur poco profondo, che si contrappone alla reale struttura della Sagrestia, rafforzandola e articolandola». Trachtenberg si sposta poi verso l'Arno ed entra nella Cappella Pazzi, realizzata una ventina di anni dopo il suo modello e che, a parte i due bracci laterali con volte a botte, «pare mimare la Sagrestia nell'ordine corinzio delle paraste, negli archi, nella cupola a vele su pennacchi. (...) Ma le cose non stanno veramente così: la Sagrestia Vecchia è stata trasformata in qualche cosa di radicalmente diverso, e assai più a fondo di quanto di solito si creda. La Cappella non solo varia il modello, ma lo sovverte e lo contraddice. L'antitesi stilistica dei due edifici, infatti, coinvolge ogni aspetto del progetto e dell'esecuzione». La differenza fondamentale sta nel fatto che gli elementi «strutturali» di San Lorenzo subiscono una radicale alterazione e diventano puro ornamento: «Lo strutturalismo rigoroso e profondo di Brunelleschi appare qui ridotto a decorativo linguaggio visivo». Lo studioso conclude: «Lo spazio della Cappella Pazzi pare sostanzialmente amorfo. In questo quadro non solo la cupola a co¬ stoloni su pennacchi viene percepita visivamente come priva di ogni energia o lucidità geometrica, ma essa sembra galleggiare alta al di sopra di chi la osserva come un iconico riferimento al suo modello mediceo, come una semplice citazione». Al telefono da New York, il professore ricorda le ragioni «politiche» sottese alla realizzazione della Cappella Pazzi: «La Sagrestia Vecchia dei Medici era anche un simbolo di potere. Quel modello ampiamente imitato si è diffuso in tutta Italia: se ne trovano di simili a Venezia, Bologna e Milano». Ma ora, a chi è da attribuire la Cappella Pazzi? Molto probabilmente, secondo lo studioso americano, a Michelozzo di Bartolomeo, attivo a Firenze dopo la morte di Brunelleschi, avvenuta nel 1446. Le sue ragioni, tuttavia, le spiegherà in un altro saggio in uscita su un prossimo numero di Casabella, ulteriore capitolo di un lavoro molto più ampio che comparirà in volume. Chi vuol saperne di più non deve far altro che attendere. Sergio Trombetta «Imita, male, la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo» «Imita, male, la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo» Sopra, l'interno della Cappella Pazzi che secondo Trachtenberg sarebbe da attribuire a Michelozzo; accanto, l'esterno; a sinistra, un capitello corinzio
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