«Camminavamo sul sangue»

«Camminavamo sul sangue» «Camminavamo sul sangue» Incordi dell'autore di «Urla del silenzio» IL CRONISTA IL CRONISTA DELL'ORRORE AWASHINGTON 52 anni Sidney Schanberg è ancora schiacciato dal peso di quella storia di oltre 20 anni fa. Allora, inviato del «New York Times», Schanberg riuscì a spedire per un arco di tempo piuttosto lungo articoli agghiaccianti sugli orrori perpetrati da Poi Pot e i suoi Khmer Rossi. Rientrato definitivamente nel '75, Schanberg ricevette l'anno dopo il Premio Pulitzer per i suoi articoli, e quattro anni più tardi scrisse una lunga storia per l'inserto illustrato del giornale, dal titolo «La vita e la morte di Dith Pran». Dì lì, nell'84, il regista inglese Roland Joffe trasse il film «The Killing Fields», i campi della morte, uscito in Italia come «Urla del silenzio». Il film ebbe lo stesso successo delle storie di Schanberg ed è tuttora considerato un «cult movie» sul giornalismo, oltreché su uno dei più folli crimini commessi da un regime totalitario nella storia dell'umanità. Ma proprio un anno dopo l'uscita del film, Schanberg lasciò il «New York Times» per dissidi con il direttore. Emigrò a «NewsDay», ma l'anno scorso gli hanno chiuso l'uf- fido. E adssso Sidney si guadagna faticosamente da vivere come giornalista indipendente. E' come se quella storia che raccontò fosse troppo grossa per lui, e dopo avergli portato fortuna avesse deciso di distruggerlo. Sidney crede che non troverà mai più niente del genere da raccontare, ma teme anche che, se lo trovasse, forse scapperebbe via. Sidney, che effetto ti ha fatto la notizia della morte di Poi Pot? «Beh, non sono certo in lutto. Non so, non riesco a capire cosa faranno adesso i Khmer Rossi. Non so se la sua morte cambierà qualcosa. Probabilmente continueranno a combinare guai in un Paese che ha già avuto molto più della sua dose di disgrazie. Ma lui, Poi Pot, era un vero cattivo, non c'è dubbio, un'autentica incarnazione del male». La storia dei «campi della morte» la scrivesti dopo ripetuti viaggi in Cambogia tra il '70 e il '75. Dopo di allora sei tornato? «Sì, un paio di volte, a trovare amici. L'ultima volta è stato nel '91. Costa molto». Che cosa ti ha colpito di più? «Certe facce, che rispuntavano dal passato improvvisamente, come in una via di mezzo tra un sogno e un incubo». Vuoi dire che hai rivisto persone di allora, della tua storia di 20 anni fa? «Pochi Molti di loro sono morti, la grande parte di loro. Ma alcuni ricompaiono in un modo strano». Raccontaci uno di questi incontri. «La prima volta che tornai, nell'89, slavo seduto in un ristorante di Phnom Penh con degli amici che venivano per la prima volta in Cambogia. E' un vecchio ristorante che esisteva anche allora, dove andavo spessissimo. A un certo punto ho la netta sensazione di essere fissato. Era un vecchio cameriere che mi stava scrutando, attento e immobile. Un attimo dopo eravamo abbracciati. I miei amici volevano sapere e gli spiegai quello che era del resto ovvio: il cameriere si ricordava di me da più di 20 anni. Ma non è questo il punto. Era il senso, il significato implicito ma evidente di quell'abbraccio. Lui era felice di vedere qualcuno di allora perché così aveva la conferma che, almeno, qualcuno non avrebbe dimenticato. Era sollevato, perché la grande paura di quel popolo è sempre stata che nessuno sapesse quello che stava succedendo, che nessuno poi ricordasse». Quando pensi a quegli anni terribili e alla tua esperienza, qual è, tra tante, la prima immagine che ti viene in mente? «Sono appunto tante. Ma, tra tutte, sì, è quella degli ospedali che i miei occhi continuano a vedere. Sono gli ospedali del periodo finale, con quei grandi fiumi di gente che vi veniva portata dentro a morire e i portantini che scivolavano sul pavimento uniformemente coperto di mezzo centimetro di sangue. Non c'erano lenzuola, ma solo teli di plastica insanguinati, e i feriti che arrivavano spesso venivano coricati accanto a un cadavere, tra le urla della gente operata senza anestesia». Paolo Passarmi «Ce n'erano fiumi sul pavimento degli ospedali, alla fine del regime» Sam Waterston (Sydney Schanberg) e Haing Ngor (Dith Pranh), ucciso pochi mesi fa, nel film «Urla del silenzio»

Luoghi citati: Cambogia, Italia, Phnom Penh