Sicilia al voto un'incognita italiana

In corsa anche gli eredi degli «indipendentisti» Più di 4 milioni di elettori per 145 liste Con 1436 candidati fiorisce il «fai da te» Sicilia al volo, un'incognita italiana Alle urne tra mafia, disoccupazione e rinascita civile SPALERMO OLE a picco sullo Zen, bagliori d'incongruenza elettorale davvero fuori dal comune. I separatisti, che poi non sono veri separatisti, ma sicilianisti perfino ragionevoli, guidati da un loquace ex comunista molisano e da un pediatra lumbard che sembra aver sbagliato barzelletta, ecco, tanto per cominciare questi sicilianisti arrivano nel quartiere più degradato di Palermo a bordo di un pullman londinese a due piani con tanto di indicazione «Trafalgar Square». E subito tirano giù cartelloni con triname, e bandiere giallo-rosse, e scritte perfino poetiche: «Noi siciliani/siamo un popolo millenario/culla dolce e luminosa/ della civiltà europea/ siamo un popolo gentile/seppure inasprito da cento dominazioni/sconfitto più volte/mai spezzato/resistente, vivo, fiero/siamo il popolo più giovane d'Europa/il 20% del nostro popolo va da 0 a 14 anni»... -E'_ la campagna, elettorale, certo. Alla siciliana, cioè con il dovuto eccesso di rappresentazione non solo a tinte forti, ma pure apparentemente contraddittorie, illogiche, talvolta pure sconvenienti. Si chiudono gli occhi, perciò, e rimane in testa il poster del candidato Tricoli, di An, che solleva in aria un neonato color rosa, e sullo stesso muro il ritratto della federalista Rizzacasa che invece chiede voti abbracciata a diversi pelosissimi cani. Si va a parlare di politica con padre Pintacuda, un'ora di lampi d'intelligenza e di previsioni apocalittiche, poi lui si alza, va alla finestra, indica un terrazzino e: «Ecco, in quella casa hanno arrestato Bagarella». 16 giugno, elezioni siciliane. Possono prendersi da molto, molto lontano: «Lei deve sapere - attacca con annoiata pedagogia l'onorevole Micciché, il capo di Forza Italia che ai tempi di Federico II Palermo era la città più importante del mondo». Addirittura al sovrano svevo (1194-1250), Stupor mundi, è dedicato il programma dei berlusconiani dell'isola: «Così come Federico II nei nostri limiti - annotano con modestia - e con la nostra passione, voghamo nella stessa direzione muoverci noi: trasformare la Sicilia da terra di conquista in terra che conquista». Però poi capita pure che il capolista - per rimanere in rima - di Fi a Palermo venga attaccato, da Rifondazione, per via del padre, «in società con Bernardo Brusca, padre del latitante arrestato l'altro giorno». Ma anche Rifondazione ha i suoi guai, di sconvolgente trasformismo, con il compagno notaio e onorevole Maccarrone che è finito con Dini. Mentre l'Ulivo si spezzetta, la Rete scopre «l'orgoglio di essere siciliani», An chiede «più Sicilia» e riunita solennemente a congresso, la Cgil chiede la riapertura del casinò di Siracusa. Tornano in mente versi di Gesualdo Bufa lino: «Sicilia santa, Sicilia carogna/Sicilia Giuda, Sicilia Cristo/Battuta, sputata, inchiodata/palme e piedi a un muro dell'Ucciardone,/fra siepi di sudari in fila/ e rose di sangue marcio/e spine di sole e odori/sull'asfalto, di zolfo e cordite.../Isola leonessa, isola iena/ Cosa di carne d'oro settanta volte lebbrosa...». Agli angoli delle strade si scorgono alpini in mimetica, con fucUoni da far paura, che osservano il rito della granita. E dopo aver spiegato che ci vuole «il giubileo reticolare» e un turismo che sappia approfittare dell'«erotismo mediterraneo», l'ex sindacalista molisano Beppe De Santis, generoso di- Nel 50° anno dell'autonomia siciliana il test delle prossime elezioni regionali è molto atteso. E non soltanto a Palermo. Sono 4.410.120 gli elettori nei 9 collegi, uno per ciascuna provincia dell'isola. Con i voti del 21 aprile per le politiche, il Polo si confermerebbe largamente vincitore e Forza Italia il primo partito dell'isola. Ma l'Ulivo, che a livello nazionale nelle politiche ha prevalso, potrebbe recuperare magari parzialmente. Intanto nel Polo c'è qualche disparità di vedute anche non senza scambi di battute polemiche. Il coordinatore regionale di Forza Italia Gianfranco Miccichè ipotizza una larga intesa per le riforme; il portavoce di An Francesco Storace è del parere che il Polo debba proseguire da solo il suo cammino. Per le elezioni del 16 giugno in Sicilia concorrono 145 liste con 1436 candidati. E c'è un fiorire di formazioni autonomistiche e di liste «fai da te». Si sono ricandidati 50 dei 90 deputati regionali uscenti e gran parte di quanti hanno rinunciato erano fra i 52 che nella scorsa legislatura sono stati inquisiti (alcuni anche arrestati) per vari reati, specie voto di scambio e qualcuno perfino per associazione mafiosa. Il presidente uscente dell'Assemblea Regionale, Angelo Capitummino, eletto nella de, è in corsa con la lista cristiano-sociale sostenuta dalle Acli, di cui da anni è dirigente. Forza Italia ha fatto il nome del suo candidato alla presidenza della Regione: Giuseppe Provenzano, già membro del Comitato Regionale psi. Fra !o liste in Uzza è «Noi siciliani», con la benedizione del gesuita Ennio Pintacuda, già ispiratore della Rete di Leoluca Orlando. La capolista è Teresa Canepa, bancaria, figlia di Antonio Canepa, il comandante dell'Evis, l'Esercito indipendentista siciliano ucciso con due compagni in un conflitto a fuoco con i carabinieri a Randazzo nel 1945, il 17 giugno. Una singolare coincidenza di date con il 16 giugno elettorale siciliano, [a. r.] scepolo di Pintacuda candidato con la lista «Noi Siciliani», confessa che «qui ie cose sono così gravi che è necessario fare i guasconi», e schiaccia una Ms con il tacco della scarpa. Ha un nevrotico intercalare: «Mi segui?». A Roma era un promettentissimo quadro sindacale. Palermo deve averlo stregato. Succede. Così, per forza, si torna nel continente carichi di impressioni, anzi di suggestioni che chissà quanto c'entrano, con il voto, i partiti allo sfascio, un sistema elettorale archeologicamente proporzionale che prevede migliaia di candidati per 90 seggi e 155 simboli, compreso quello di un raggruppamento che si chiama «Scaletta C». E allora, forse, al giornalista spaesato non resta che consolarsi pensando che qui il voto è qualcosa di un tantino più complicato. E che sono soprattutto le elezioni dei siciliani, e quindi hanno anche a che fare con la «rrabbia» e i depositi di armi di cui parla Pintacuda. Con la memoria sempiterna delle zolfatare, come descritta dallo scrittore Salvatore Parlagreco, «i carusi cucinati a fuoco lento nel ventre della monta¬ gna - in maggior numero che nei forni crematori nazisti - fra sospiri di luce e ombre mostruose». Con il procuratore Caselli che chiede «un Piano Marshall», i sogni dell'università islamica, la burocrazia corrotta della regione, la tentazione di Bossi, che smanioso di separatismo fece andare a sbattere un suo emissario addosso a un futuro pentito. E poi ancora con la speranza della zona franca, l'autonomia mancata o strozzata, i 40 nula «giovani» assistiti a vita grazie a un complesso meccanismo di cooperative che nulla cooperano, in attesa del nul- la. Berlusconi-Federico II dovrebbe arrivare la prossima settimana. La campagna elettorale, frattanto, favorisce singolari incontri politici. A chi la va a trovare, Teresa Canepa, una bella donna, figlia di un martire dell'indipendenza si presenta così: «Non ho scheletri, ma un padre sotto terra per un'idea». Porta la Trinacria, dea ancestrale, grande madre pagana, appesa a una collana, sulla pelle. Espone invece tanti elefanti sulla cravatta, sùnbolo della città, il sindaco di Catania Enzo Bianco. Ha riaffidato forse la più bella estate culturale d'Italia a Franco Battiato, e mentre chiede all'autista di andare piano per far vedere che non ci sono più effettivamente - le cartacce sul lungomare, prevede con assoluta sicurezza quel che succederà dopo le elezioni: «Nessuna maggioranza, nessun governo, nessun programma e nessun presidente. Classica instabilità, logica di sempre». Sull'automobile di Leoluca Orlando, al contrario, è come andare sulle montagne russe. Fradicio di sudore, dopo un comizio in cui ha richiamato santi multirazziali e parlato in latino, in tedesco e in palermitano, una ragazza gli si è avvicinata con un kleenex, e glielo ha messo in mano in silenzio. Ieri, dice, c'era la mafia e poi ancora la mafia: «Sono stato il fiancheggiatore dei giudici, mancava solo facessi l'usciere al tribunale. Ora va meglio». E si può andare avanti all'infinito, in Sicilia, a colpi di luce e incantamenti, senza dover ricorrere ai vani artifici della tecnopolitica, tanto l'isola e i suoi abitanti sono prigionieri della più stupenda letteratura. Anche nel Gattopardo, in fondo, c'era in ballo un seggio, che comunque il principe di Salina rifiuta: «I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria...». E qui Bianco alza gli occhi al cielo, con mite scetticismo, mentre Orlando s'adira: «Basta con Tornasi di Lampedusa! Basta con Sciascia! Si può cambiare». E allora basta davvero, con poesie e romanzi. E però la nuda cronaca preelettorale non può trascurare il fatto che uno dei presidenti dell'Assemblea regionale è stato arrestato per quattro (4) volte, e che due consiglieri sono schiattati proprio lì, a Palazzo dei Normanni. Eventi che con tutta la più sobria volontà è davvero difficile non considerare a loro modo simbolici. Così, mentre l'agonia della legislatura siciliana veniva prolungata ben oltre Tangentopoli per accanimento di paure e di norme, l'isola assisteva allo smantellamento del potere politico, di quello economico e, un bel po', pure di quello criminale; come del resto si capisce sfogliando il Mediterraneo, giovane quotidiano di Palermo, che sotto la testatina «L'estate dei processi» presenta, con data, luogo e ora d'inizio, quasi fossero cinema, ben 20 diverse udienze. Bene, è da questo vuoto che sorge l'immaginario e immaginoso sicilianismo elettorale. Perché, se la Sicilia è così ricca, e la gente invece sta così male, senza lavoro e senza soldi, sarà evidentemente colpa di qualcosa di esterno. E individuare questo qualcosa nello Stato centralista è qui da secoli - altro che Bossi - la cosa più facile. Perciò, tanto per cambiare, si lascia intravedere una catastrofe arroventata e si chiedono miliardi. Che Roma non ha più Filippo Ceccarell Miccichè (Polo) è per grandi intese Ma An non ci sta In corsa anche gli eredi degli «indipendentisti» CASELLI «A quest'isola servirebbe un nuovo piano Marshall» FEDERICO II Il sogno «berlusconiano» per i siciliani riparte dal re di Svevia PINTACUDA State attenti alla «rrabbia» di questa gente Può diventare una sorpresa BUFALINO La «profezia» dello scrittore sulla sua gente «Isola leonessa isola iena...» BEPPE DE SANTIS «Vogliamo i casinò l'erotismo mediterraneo e un Giubileo tutti per noi» ORLANDO «Adesso basta con Sciascia e con Tornasi di Lampedusa» NELLO ZEN Il quartiere di Palermo è immagine simbolo dei problemi sociali d'oggi ORDINE PUBBLICO Continua in tutta l'isola il presidio degli alpini GOTTOSO Il celebre pittore siciliano d'origine è rimasto sempre fedele alla sua terra TRINACRIA La dea ancestrale è tra i simboli della competizione elettorale di metà mese I Un'immagine del centro storico di Palermo Piazza del Duomo: uno dei «cuori» di Catania, altra città simbolo