I giornali Sono diventati troppo gradevoli

Parla Giovanni Giovannini, dopo l'addio alla Fieg Parla Giovanni Giovannini, dopo l'addio alla Fieg I giornali? Sono diventati troppo gradevoli EROMA IORNALISTA e editore, Giovanni Giovannini, che ha lasciato dopo vent'anni la carica di presidente della Federazione italiana editori di giornali, è stato l'uomo delle nuove tecnologie. La grande trasformazione realizzata nei quotidiani - eliminazione delle linotype, introduzione dei sistemi editoriali elettronici, videoterminali, videoimpaginazione - porta soprattutto la sua firma. Settancinque anni di età, 51 di Stampa, è stato un protagonista di primo piano nella storia dei giornali dal dopoguerra a oggi. Quando ha messo piede per la prima volta in una redazione? «Nel 1945, a 24 anni, dopo il ritorno dal campo di concentramento. Laureato in Diritto internazionale, volevo fare l'assistente: "Benissimo - mi disse Alessandro Passerin d'Entrèves - ma lire non ce ne sono". Trovai lavoro al quotidiano L'Opinione, diretto da Franco Antonicelli con la collaborazione di Giulio De Benedetti. Quando passai alla Stampa, diretta da Filippo Burzio, ricordo che De Benedetti voleva dissuadermi, ma io gli dissi: "Vedrai che sarai tu a venirmi dietro". Così è stato: Burzio morì nel '48, Frassati chiamò De Benedetti, che rimase direttore per vent'anni. Convinto che il giornale di Torino e della Fiat non potesse ignorare i fatti sindacali, diede impulso a questo servizio: io c'ero finito per caso e mi ritrovai in un posto chiave». E quando invece ha lasciato il giornalismo militante? «Nel 1972 ero vicedirettore con Ronchey. L'avvocato Agnelli mi chiese se volevo occuparmi del giornale. In che senso?, domandai. Come amministratore delegato. Gli dissi che di amministrazione non ne capivo molto. "Le daremo una job description", fu la risposta». Qual è la trasformazione più impressionante di cui è stato testimone? «L'innovazione tecnologica. Nella vecchia Stampa di via Roma c'era un fattorino, di nome Sibona, che aveva il compito di darci le penne. La macchina da scrivere provocò una rivolta: grandi giornalisti si rifiutarono di usarla. Le resistenze sono state molto più forti quando è entrato in redazione il computer». Con la televisione i giornali sono cambiati? «Sì, ma in ritardo e male. Ci hanno messo molto a capire e assorbire il fenomeno televisione. La prima volta che andai da editore a un congresso dei giornalisti venni interrotto: "Ma cosa ci racconti? Parlaci dei contratti". Stavo annunciando la nascita delle prime televisioni commerciali». E' vero che la televisione ha ucciso l'inviato? E' vero che l'inviato speciale è defunto? «Non è defunto affatto. Se l'hanno fatto defungere è una stupidaggine. A patto che sia speciale, l'inviato non è sostituibile. Quando leggo per mesi e mesi i rutti di Bossi e il tailleurino della Pivetti, mi vien voglia di una bella inchiesta sui prò Memi del Sud, sull'alta velocità, sui disagi degli aeroporti e così via. Questi sono i servizi dell'in viato. Che il giornale non abbia da essere noioso è giusto, è sa¬ crosanto. Mi ievo tanto di cappello di fronte alla nuova grafica, ma se fossi direttore aprirei anche qualche spazio non gradevole in mezzo a tante gradevolezze. Perché la gente non è fessa». Il direttore può ancora essere una specie di monarca? «Oggi i giornali sono più complessi, nessun direttore può accentrare tutto. Però mi permetto di ricordare un intellettuale che circa centocinquant'anni fa si dichiarava contrario a tutte le dittature, tranne che nei giornali: si chiamava, com'è noto, Karl Marx. Tutto il nostro sistema si basa sulla figura del direttore: dove non conta, perché è delegittimato, o dall'alto o dal basso, la barca non va. Perciò mi ha addolorato il referendum al Corriere: che senso ha l'ammutinamento del Bounty, o del Caine, quando la testata va a gonfie vele?». Il giornale elettronico segnerà la fine del giornale di carta? «No. Però la grande espansione dei quotidiani l'abbiamo alle spalle. Quanto al giornale elettronico, quello che bisogna capire è che non è un veicolo di notizie ma un organizzatore di notizie. Non ha senso mettere i giornali in rete così come sono. All'estero esiste già una nuova figura professionale: i senders, da to send, che significa inviare. I senders ti organizzano l'informazione così come ti serve». Che cosa l'attende nel futuro dopo mezzo secolo di vita nei giornali? «Continuerò a occuparmi di multimedialità. Ho messo in piedi una casa editrice, Gutenberg 2000, e una rivista specializzata, Media 2000, sto lavorando a una nuova edizione del volume Dalla selce al silicio, che è stato tradotto in undici lingue. La multimedialità è un mondo che sta esplodendo, su cui lavorare perché ancora circondato da ignoranza, nel nostro ambiente». Alberto Papuzzi Dalle penne al computer alle tv commerciali: 50 anni di stampa in Italia al vaglio di un protagonista ni e o ee ae a e ni notype, mi editorminali, orta so Settandi Stamnista di oria dei a oggi. ede per a redaopo il rincentrato interassistense Alesves - ma rovai lapinione, celli con iulio De ssai alla ppo Burdetti vogli dissi: venirmi rzio morì ò De Bettore per e il giorFiat non indacali, servizio: mi ritroa lascialitante? tore con gnelli mi armi del domanore deleamminivo molto. descrimazione di cui è ParlaI gGioGiova75giornaeditostato l'delle ntecno«GioROMA. «è all'inseFieg, Mail numerme idee giornali dpiù, bisogsti». All'idi pezzi, scritto e una sua f«L'innovNella vema c'erSibona, darci le scriveregrandi gdi usarstate mentratoter». Con lsono«Sì, mahanno assorbine. 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