Strehler; torno se Veltroni mi dà una mano di Guido Vergani

Strehler; torno se Veltroni mi dà una mano Il regista è adesso negli Stati Uniti, ieri il consiglio d'amministrazione ha respinto le dimissioni Strehler; torno se Veltroni mi dà una mano E il ministro rispose: «Incontrerò il presidente del Piccolo» IL CASO IL TEATRO NELLA BUFERA SMILANO TREHLER tornerà, straccerà la sua accorata e indignata lettera di dimissioni, se Roma non sarà sorda al «grido di dolore», se Walter Veltroni darà un segnale, assicurerà finanziamenti non ballerini che permettano di lavorare su progetti almeno biennali, e garantirà un assetto legislativo meno precario che riconosca il primato artistico del «Piccolo». Era questa la convinzione del popolo strehleriano, attori, elettricisti, macchinisti, trovarobe, suggeritori, che, ieri sera, stava nell'atrio del Teatro Studio, mentre il Consiglio d'amministrazione del «Piccolo» era riunito per discutere il «me ne vado» del regista e ovviamente, come è poi successo, per ricamare altre promesse (la nuova sede del tutto pronta entro la fine dell'anno), respingendo le dimissioni e appoggiando la richiesta di una legislazione speciale, con maggiori risorse finanziarie. Quel presidio era stato deciso a difesa di «un luogo d'arte» che, come ha detto amaramente Strehler nella sua lettera d'addio, «ha sempre dato e meritato molto di più di quello che ha ricevuto». L'irrevocabile dimissionario era lontano: non più a Parigi, ma pare ormai negli Stati Uniti, una distanza oceanica forse a marcare anche geograficamente la propria indignazione e il dolente distacco. E faceva dire che non parlerà Eiù, né commenterà il Funamolico «non c'entriamo» di Marco Formentini e di Philippe Daverio. Italianissimamente, sindaco e assessore alla Cultura, sicuri che l'obiettivo del regista sia più Palazzo Chigi che Palazzo Marino, non si sentono responsabili neppure dell'ultima «pochade», iniziata facendo credere a Strehler di poter debuttare verso la prima metà di luglio con «Madre coraggio di Sarajevo», inducendolo a inaugurare simbolicamente la sala prova il 14 maggio, quarantanovesimo anniversario del «Piccolo», per lasciarlo, invece, senza poltrone (è inaudito nella capitale mondiale del design e del mobile), senza collaudi, fra le macerie di un singolarissimo cantiere dove, in venti giorni di prove, «non abbiamo visto un solo operaio», dove regnava «un silenzio di tomba, il silenzio dell'inettitudine, del menefreghismo». Le colpe, è ovvio, sono soprattutto macigni sulla storia tangentara e fitta di annosi tira e molla delle giunte passate, con l'eccezione di quella capitanata da Piero Borghini che, nel 1992, affidò alla «ripulita» Metropolitana Milanese il cantiere del «Piccolo», imprimendogli finalmente un accelerata. Gli stati maggiori leghisti («Poveracci fuori dal mondo, presi nella ragnatela della loro piccola politica», li ha definiti Strehler) hanno buon gioco a scaricare sui predecessori il ridicolo di questa vicenda infinita: nel 1954, si comincia a parlare di una nuova sede; nel 1964, due progetti vengono discussi e archiviati; nel 1977, il Comune annuncia che l'architetto Marco Zanuso costruirà il Nuovo Piccolo Teatro tra via Tivoli e via Legnano, area cara alla memoria di Bertolazzi e del «Nost Milan»; nel '79, si vara un preventivo di 9 miliardi; nel 1982, la giunta approva il progetto esecutivo; nel maggio del 1983, cominciano i lavori e si spergiura che verranno ultimati nel 1986; nel luglio del 1995, dodici anni dopo il primo mattone, fasullamente s'inaugura la nuda struttura. Ma l'amministrazione le- 8;hista ha aggiunto tre anni di entezze a questa storia perenne che pareva conclusa con quella prova aperta di «Madre coraggio», preceduta da una lunga sparatoria polemica di Strehler («Stiamo festeggiando una cosa vergognosa: dovremmo avere toni funerari perché celebriamo molte stagioni di incapacità, di bassezze. Milano è l'emblema del disinteresse, dell'ignavia di questo Paese verso la cultura»), da sferzate all'industria, al potere , alle banche e da un proclamato mani¬ festo per un teatro non solo sede di «qualche degno spettacolo» ma capace di un'attività polivalente: prosa, lirica, cinema, balletto, arti visive. L'aveva definita «la seconda rivoluzione del Piccolo». Ha aspettato un segnale che non è venuto e che avrebbe dovuto rendere possibile «un futuro più alto, una teatralità nuova, un centro di propulsione culturale per tutta la scena italiana». Niente segnale, solo il trasloco in un «simulacro di teatro», in un cantiere ancora da bivacco, con le poltrone di là da venire. I 75 anni di Strehler non hanno abbozzato, hanno rilanciato, forzando la mano. Un rilancio forse non troppo al buio, ma senza dubbio funzionale per dare una sveglia a Milano e al Paese. Intanto ieri sera Walter Veltroni, ha fatto sapere che domani incontrerà a Roma il presidente del Piccolo Teatro di Milano, Jacques Meystar, e venerdì il sindaco di Milano, Marco Formentini. Guido Vergani NO rà, ta sda er Il regista è adesso neglStrehler; toE il ministro risGiorgio Strehler Giorgio Strehler

Luoghi citati: Milano, Parigi, Roma, Sarajevo, Stati Uniti