La depressione Come l'influenza

19 Parla Kay Redfield Jamison, che ha raccontato la sua malattia in un libro La depressione? Come l'influenza Presto si curerai con una manciata di pillole MILANO A sua storia ha valore § perché è una psicologa, è I I una professoressa alla ■^1 John Hopkins University di Baltimora, e ha assistito sconvolta al mutare della sua mente, al volo trionfale dell'euforia e al peso, alla paralisi disperata della depressione. «Chi sono io alla fine?», si domandava con terrore. Non si conosceva più. Un'altra donna viveva al suo posto. E il suicidio era sempre lì a tentarla. Kay Redfield Jamison ha resistito per anni e anni a nascondere la sua malattia perché guai a farsi scoprire dai colleghi medici. Quando dava un party o invitava qualcuno a cena, la prima cosa da fare era togliere di mezzo le medicine dal bagno. A volte era abbastanza facile far finta di nulla: «Tu mostri una faccia e vai a sapere se è quella vera. Il musicista austriaco Hugo Wolf diceva: "Sembro allegro e davanti agli altri parlo in modo ragionevole, eppure l'anima continua il suo sonno di morte"». Poi è successo che qualcosa le si è rotto dentro: «Ero stanca di nascondermi, stanca di dissipare e soffocare le mie energie, stanca dell'ipocrisia». Ha deciso di raccontare tutto di sé. In America va di moda confessarsi in pubblico, i talk shows sono pieni di persone che esibiscono i loro segreti. Il caso della professoressa Jamison è diverso: «L'ho fatto per aiutare chi soffre, e sono tanti. C'è voluto coraggio. Era come un dovere». Ed ecco: un libro, La mente inquieta (Longanesi), nella collana diretta dall'ormai celebre psichiatra di Pisa Giovanni Battista Cassano, una collana che ha per motto queste parole di Michelangelo: «El vulgo volle notte chiamar quel sol che non comprende». Un ossimoro, una speranza. «Speranza, sì - dice Kay -. Perché siamo vicini a identificare quel grappoletto di geni responsabili della malattia maniaco-depressiva. Stanno vicino al cromosoma 18». Lei non ha dubbi: questa malattia è di origine genetica, organica. E' ereditaria. E la si cura con i farmaci. Lei non sottovaluta certo la psicoterapia, che è di grande aiuto nella terapia chimica, ma la chiave di volta è in quelle pillole blu o rosse o verdi di sali di litio. E' il litio, quella polvere bianca come il sodio, la sua battaglia: «Ho combattuto per molti anni. Prendevo le pillole, stavo meglio, smette¬ vo. E il ciclo ricominciava: up and down, up and down, correvo su e piombavo giù, e riprendevo le pillole. Non le volevo accettare per sempre. Avevo paura di perdere i benefici della malattia». Benefici? Kay Jamison insiste: «La malattia maniaco-depressiva è unica nel suo genere per i vantaggi e il piacere che dà, anche se nella sua scia porta una sofferenza quasi intollerabile». Ricorda bene la prima volta che quasi s'impennò, si sollevò su se stessa tanto era leggerissima e potente, all'ultimo anno delle superiori: faceva tutti gli sport, stava alzata tutta la notte fuori con gli amici o a leggere Byron, Hesse e Melville, riempiva quaderni di poesie e di frammenti d'opere teatrali, faceva piani grandiosi sul suo futuro. «Una connessione cosmica meravigliosa». Lei era al centro e il suo pensiero era un torrente in festa. Lanciava amore da tuxta se stessa e lo riceveva «da ogni sguardo, da ogni cosa e persino dall'aria». Un incantesimo di follia. «Mi ripetevo: "Più adagio, Kay. Mi sfinisci, Kay. Per l'amor di Dio, Kay, rallenta!». Anni dopo, ci furono sbocchi più preoccupanti: «Quand'ero su di giri i soldi non esistevano. Le carte di credito erano un disastro. Un giorno comprai dodici scatole di pronto soccorso contro il morso dei serpenti e comprai pietre preziose, mobili eleganti di cui non avevo bisogno, tre orologi di lusso, vestiti da sirena e libri sulle talpe. Spesi più di trentamila dollari. Rubai anche una camicetta». E ogni volta lo splashdown, il tonfo nell'abisso: l'ossessione della morte («Sarei morta, che differenza faceva tutto il resto?»), e il corpo che tirava in basso, sempre più in basso e sempre più forte, e quasi non si muoveva più. Al mattino Kay allungava il succo d'arancia con la vodka, ma non era lo stesso una gran partenza per la giornata. Un periodo che le diede un buon equilibrio fu a St. Andrews in Scozia, la terra dei suoi antenati. Era lì con un'equipe scientifica. Si dedicava alle registrazioni elettrofisiologiche dal nervo acustico di una locusta: un lavoro delizioso, ottimo tonico. Kay Redfield Jamison ha pubblicato nel '94 un'indagine su genio e follia negli artisti, da Schumann a Van Gogh: si intitola Toccato dal fuoco (Longanesi). E ha scritto, oltre a moltissimi articoli e saggi sulla sperimentazione del litio nella despressione, un ponderoso trattato sulla Malattia maniaco-depressiva. E' diventata un'autorità accademica. Ha anche prodotto e presentato trasmissioni divulgative per la radio e la tv. E' una specie di star, Kay. E' molto graziosa, la professoressa Kay Jamison, 50 anni, due mariti, nessun figlio. E sa scriver bene: questo Una mente inquieta ha pagine di buon tenore narrativo, ravvivato dallo humour. Paradosso finale. Se le fosse possibile scegliersi una malattia, sceglierebbe quella che ha: «Perché in condizioni normali o maniacali ho corso più velocemente, pensato più rapidamente, amato più intensamente della maggior parte delle persone che conosco. E poi per me il litio funziona. Da depressa non striscio più carponi per attraversare una stanza». Oscilla ormai entro una banda accettabile di umori. «E scopro sempre nuovi angoli della mia mente». Claudio Altarocca «Siamo vicini a identificare i geni responsabili, è un male ereditario» curerai con una manciata d«Siamo vicini a identificare i geni responsabili, è un male ereditario»

Luoghi citati: America, Baltimora, Milano, Scozia