Su Roma aleggia la sindrome leghista di Pierluigi Battista
Su Roma aleggia la sindrome leghista Su Roma aleggia la sindrome leghista Trattorie e Palazzi temono una «capitale dimezzata» IL VENTO DELLA SECESSIONE MROMA AMMA li nordici. Ovvero il terrore romano, equamente diviso fra trattorie e Palazzi, della secessione, l'incubo del Nord che se ne va, il fantasma di una Capitale diminuita e umiliata nel ruolo di simbolo di una Nazione dimezzata. Come se la città caput mundi dovesse attendersi da un momento all'altro l'invasione apocalittica delle «camicie verdi». Come se il martellamento leghista sull'«indipendenza padana» fosse vissuto come una minaccia, un'offesa all'identità di una città che comincia a percepire tutto ciò che si agita più o meno scompostamente al di sopra della Linea Gotica come un fenomeno enigmatico e dunque temibile. E se un deputato leghista come Rinaldo Bosco protesta perché nelle trattorie romane dilagherebbe la sporcizia e la pessima abitudine di non rilasciare ricevute fiscali, un deputato molto romano, molto di destra, come Francesco Storace reagisce con la minaccia di querele per difendere l'onorabilità della cucina capitolina e con l'invito al leghista Bosco di recarsi piuttosto in qualche non precisata «osteria della Carnia», che detta così alluderà certamente a qualcosa di lontano e riprovevole. «A Roma siamo tornati a incarnare il ruolo di una volta, quello dei barbari», dice l'ultra dell'indipendentismo nordista Mario Borghezio: «Avvertiamo intorno a noi l'affiorare di una psicosi di massa, un tam tam silenzioso che alimenta la sindrome da santa alleanza antiNord, il cordone sanitario che cancella d'un tratto tutta l'insinuante affabilità che esibivano quando i nostri voti erano necessari». Insinuante affabilità? «Sì, insomma, una sottile operazione di coinvolgimento psicologico, come quello di cui era capace l'attuale ministro Franco Bassanini quando, al tempo del ribaltone, mi prendeva sottobraccio per sussurrarmi che io sarei stato "un ideale ministro della Giustizia". Adesso capisco che erano costretti ad inghiottirci come una purga. E ritornano le vecchie abitudini di chi a Roma ci tratta come estranei e individui pericolosi. Luca Giurato, per esempio, che in una sua trasmissione dava amichevolmente del tu a tutti i politici ma a me si rivolgeva con il lei». Senso di un pericolo incombente. Sindrome da secessione prossima ventura. Nei colloqui riservati avviati dopo l'acquisto del Messagge¬ ro, Francesco Gaetano Caltagirone non nasconde i suoi timori su quelli del Nord che sarebbero sul punto di tagliare l'Italia in due e su questa preoccupazione modella il ruolo del grande giornale romano testé comprato. Nell'attesa l'altro giornale romano, 27 Tempo, pubblica editoriali sdegnati a proposito del raduno dì Pon- tida con titoloni su cui non è possibile equivocare: «Intollerabile e arrogante la provocazione leghista». Titolo in cui si annida più di un'assonanza con quello dell'Osservatore Romano: «Da Pontida l'ultima provocazione leghista. Bossi lancia con arroganza una sfida che ferisce gli italiani», e che proietta il giornale vaticano di¬ retto da Mario Agnes da Avellino all'avanguardia del risentimento antisecessionista della città che appunto si sente oramai «ferita» dal ritornello su «Roma ladrona». All'avanguardia, ma anche in compagnia dei telegiornali Rai. Il Tgl di Nuccio Fava fa addirittura del credo antileghista uno sfoggio imbarazzante, come quando, all'indomani del rifiuto del presidente Violante di accettare la denominazione parlamentare che il Carroccio aveva scelto per sé, cominciò il servizio con un tambureggiante: «Nuove provocazioni della Lega. Ferma risposta di Mancino e Violante». «Ferma risposta» che viene salutata con fervore dal Tg3, talmente preso dai pericoli di secessione da dimenticare il suo passato di TeleKabul e trasformarsi in un'agguerritissima TeleRoma. «Ferma risposta» invocata dai cittadini romani che il 2 giugno hanno sciamato per i palazzi simbolo di Roma capitale, nuovi pellegrini per i luoghi di culto dell'unità nazionale offesa. Pierluigi Battista Francesco Storace, di Alleanza nazionale
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