Spara alla figlia anoressica e s'uccide

Dramma nella famiglia di un ricco imprenditore di Tortona: la ragazza da dieci anni rifiutava il cibo Dramma nella famiglia di un ricco imprenditore di Tortona: la ragazza da dieci anni rifiutava il cibo Spara alla figlia anoressica e s'uccide // dramma dopo l'ultima lite: «Tiprego, mangia» TORTONA DAL NOSTRO INVIATO ' «Vorrei morire di crepacuore, se solo ne avessi uno». Parole di Roberta, stampate con il pennarello nero sui muri della sua stanza, in mezzo a poesie, frasi di Mao, e scritte deliranti. Aveva 25 anni, e ieri mattina suo padre l'ha uccisa. Era ricca, e un tempo era anche molto bella. Era malata da anni: anoressia, da quand'era adolescente. Franco Lugano le ha sparato cinque colpi di pistola, e poi si è ammazzato anche lui. Era un uomo di successo, che aveva tirato su da niente un'azienda di commercio all'ingrosso. Che adorava i suoi quattro figli, ma soprattutto quella figlia fragile con il volto scavato. Che amava soltanto lui, e non si voleva curare. Per capire cos'è successo ieri a villa Buenos Aires, il sontuoso palazzo dei Lugano, bisogna srotolare un rapporto tra genitore e figlia fatto di esasperazione e di tenerezza. Un groviglio di sentimenti in una famiglia della Tortona-bene, esploso alle nove e mezza di ieri mattina. Quando il padre, 55 anni, ha incontrato Roberta nella sala da pranzo del primo piano. Lui in accappatoio, lei in pigiama. Roberta era appena scesa dalla sua camera in mansarda. La domestica Anna Ciletto era in lavanderia, nel seminterrato. L'altra figlia Stefania, di 29 anni, era in bagno. Si erano tutti alzati da poco. La madre Chiara Copello era al piano terra con il figlio più piccolo Francesco Napoleone, di 22 anni. Il quarto figlio, Edmondo, era con la moglie in un'altra ala. Chiara Copello ha sentito il marito gridare: «Roberta, Roberta - ha raccontato al capitano dei carabinieri -. E poi i colpi di pistola». E' accorsa per prima Stefania: «Ma papà ha sparato ancora. Roberta era a terra nel sangue. Ha mormorato "papà mi sta ammazzando"». Il primo colpo di calibro 38 si era piantato nel muro, della cucina. Uno è penetrato dal braccio nell'addome. Poi altri due: nella pancia, e in pieno-petto. L'ultimo è andato a vu*oto, perchè Stefania e la madre gli hanno deviato la mano cercando di disarmarlo. Il proiettile è uscito dalla finestra ed è finito in una stanza dell'Ufficio d'igiene, nel palazzo di fronte, dove per caso non c'era nessuno. Madre e figlia hanno posato la pistola sul tavolo, si sono chinate su Roberta. Franco Lugano è uscito dalla stanza, e ha incrociato sul pianerottolo Edmondo che saliva dal pian terreno. Edmondo: «L'ho abbracciato. Liù mi ha detto: vai ad abbracciare tua sorella». Poi Franco Lugano è sceso nel suo studio. Una camera adibita anche a sala-musica, la passione dell'imprenditore. Ha aperto l'armeria chiusa a chiave su consiglio dei medici, perchè Roberta minacciava spesso di suicidarsi. Dentro c'erano sei fucili da caccia, le pistole. Ha scelto una 44 Magnum, si è seduto in poltrona, e si è sparato alla tempia. Roberta, intanto, è morta sull'ambulanza che la portava all'ospedale. L'ultimo litigio, se c'è stato, è durato pochi istanti. Forse lui l'aveva vista in lacrime, seduta per terra, come succedeva spesso. Oppure voleva convincerla a fare colazione, o voleva spiegarle ancora una volta che doveva curarsi, doveva tornare nella clinica delle «Betulle» di Appiano Gentile, nel Comasco. Una costosa casa di cura per malattie nervose, in cui Roberta era stata tante volte: entrava e usciva, spesso resisteva solo due o tre giorni. L'ultimo ricovero, tre settimane fa, era stato interrotto contro il volere dei medici: ogni volta lei accettava di andarci, e dopo mezz'ora chiamava il padre al telefono. «Vienimi a prendere». Lui correva, la convinceva a restare. Quando andava via, lei lo richiamava: e a volte andavano avanti così per giorni. A Tortona raccontano un rappor¬ to di simbiosi tra padre e figlia, un sentimento d'affetto esclusivo. Dicono che Roberta accettava soltanto lui, l'unico a comunicare con lei per davvero. La portava alle mostre, ai concerti. Si era ammalata da ragazzina: a 13 anni, l'avevano salvata dalla morte per fame a forza di flebo. Era alta quasi un metro e settanta, di ossatura robusta. Pare che all'epoca si sentisse grassa, e che avesse cominciato una dieta dura. Poi aveva terminato ragioneria, si era iscritta all'università. La malattia andava e veniva, tra alti e bassi: si parla di medici di grido, di clini- che costose in Svizzera, di una girandola di analisti, per anni. Per due aveva vissuto con un fidanzato ad Alessandria. Era tornata a casa a gennaio. «Era un rapporto difficile racconta un'amica -. Erano infelici tutti e due, non se la sono sentiti di continuare». Da allora, le condizio- ni di lei erano peggiorate ancora. «Ma era maggiorenne, non si poteva costringerla a stare in clinica». Era inagra, depressa. Con i capelli rasati a zero e il corpo coperto di tatuaggi che le avevano fatto in Giappone. Un grande drago sulla schiena, un Sacro cuore sul petto, un serpente sul braccio. Sulla pan eia e su una gamba, delle svastiche. E la scritta: «Fate l'amore e non la guerra». Alle dita dei piedi, un anello. Il vc'.to così devastato che a Tortona si era sparsa la voce, smentita dai carabinieri, che fosse tossicomane. Il padre, a vederla così, soffriva. Aveva sposato Chiara Copello nel '66: dicono che lei fosse la donna più bella di Tortona, e che il loro sia stato, a quel tempo, il matrimonio dell'anno. Lei era figlia di un notaio, lui era un giovane emergente: aveva ereditato dal padre Leonardo una ditta di commercio d: cereali, la «Lugano Sementi». L'aveva ampliata, l'aveva portata a un fatturato a nove zeri. Membro del direttivo della Lega Nord cittadina, si era candidato alle ultime amministrative, quando il Carroccio è entrato in giunta con l'Ulivo. Frequentava il Rotary, aveva belle auto. Quando, alla fine degli anni Ottanta, aveva comprato Villa Buenos Aires, aveva riso delle dicerie sul palazzo. Pare che l'avesse pagato poco, perchè nessuno lo voleva: una casa dell'Ottocento che tiene un intero isolato, in pieno centro, con un giardino nel mezzo. Per i tortonesi, «porta sfortuna». Per qualcuno, c'erano persino gli spiriti. Lui ci aveva scherzato sopra e ci aveva trasferito la famiglia. Da qualche mese, si disinteressava del lavoro. Voleva star vicino a Roberta, curarla, tirarla via dai suoi fantasmi. «L'ha uccisa perchè le voleva troppo bene», dicono i parenti. Sembra che ultimamente i medici avessero dato a Franco Lugano poche speranze. Che gli avessero detto che Roberta non sarebbe mai stata una persona nonnaie: «Migliorerà, ma sarà sempre psichicamente fragile». «Sono stufo di vederti soffrire così - diceva lui -. Non ne posso più. Ho già avuto un infarto, me ne verrà un altro». Forse temeva che allora non l'avrebbe più potuta curare. E allora ha sparato. Giovanna Favro IDENTIKIT DI UNA MALATTIA «L'anoressia è una forma di disordine alimentare, caratterizzala da una forte riduzione autoinflitta del nutrimento, che conduce a un grave deperimento dell'organismo. (...) Sono soprattutto ragazze adolescenti o giovani donne a rimanere intrappolate in quei problemi, sempre più frequenti. (...) La fanciulla diventa preda di una sorta di passione del cibo proibito e sviluppa una lotta feroce contro il corpo, colpevole di avere dei bisogni e di tradire il suo ideale di magrezza assoluta». [DA «IL CORPO IN FAME» DI PIERRETTE LAVANOHY] L'uomo ha fatto fuoco l'ultima volta sotto gli occhi della moglie L'ingresso di «Villa Buenos Aires», la casa in cui si è consumata la tragedia. Sopra, Franco Lugano, 55 anni, il commerciante che ha ucciso la figlia e poi si è tolto la vita Roberta Lugano, 25 anni. Era anoressica

Luoghi citati: Alessandria, Appiano Gentile, Buenos Aires, Giappone, Lugano, Svizzera, Tortona