«Oggi le dimissioni di Karadzic» di Giuseppe Zaccaria

A Ginevra Milosevic consegnerà a Christopher il documento di rinuncia A Ginevra Milosevic consegnerà a Christopher il documento di rinuncia «Oggi le dimissioni di Karadzic» Ma si teme l'ennesimo bluff del leader di Pale I MISTERI DEI BALCANI BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO Questa mattina, a Ginevra, il presidente jugoslavo Siobodan Milosevic consegnerà a Warren Christopher, segretario di Stato americano, un documento annunciato come il segno della svolta: le dimissioni di Radovan Karadzic dalla presidenza della Repubblica serba di Pale. Questa, dice Milosevic, è la dimostrazione di un «atteggiamento positivo verso la soluzione dei problemi di Bosnia», magari di un piccolo, storico passo nella difficile applicazione degli accordi. Ma prima ancora di conoscere il testo molti già dubitano del suo valore di prova. Proprio questo aveva chiesto Kornblum, nuovo mediatore americano, ripartendo tre giorni fa da Belgrado dopo l'ennesimo giro di consultazioni: «Voghamo una prova del fatto che Karadzic non sia più al potere». Al contrario, questa lettera dimostra soprattutto come, finita l'era dei grandi mediatori, le dinamiche della pace siano tutte nelle mani del grande burocrate di Serbia. Al telefono, da Banja Luka, la voce di uno dei pochi oppositori di Karadzic è sovrastata da scariche e rumori. L'opinione di Miodrag Zivanovic, presidente del partito liberale della Repubblica serba, comunque è chiarissima: «Questa lettera non dimostra che Karadzic si sta allontanando dal potere, ma solo che vuole continuare a gestire le cose da una posizione migliore. Continuerà a guidare il suo gruppo senza assumere responsabilità formali, i suoi pretoriani saranno pronti come sempre a fare quadrato dinanzi alle minacce americane o alle richieste del tribunale dell'Aia. E creda a me, dopo questa ennesima mossa le probabilità che Karadzic o Mladic possano davvero essere giudicati non aumentano affatto, piuttosto si fanno ancora più sfumate». Zivanovic è l'esponente del partito che negli ultimi mesi ha più seriamente discusso la leadership di Karadzic e dei suoi. Liberale e di Banja Luka è quel Rajko Kasagic di cui poche settimane fa il Presidente ha chiesto e ottenuto le dimissioni. Sempre a Banja Luka, che nella repubblichetta serba rappresenta ormai l'altro polo del potere, continua a crescere un'opposizione relativamente moderata che punta a riunire la città al resto della Bosnia, almeno quanto a collegamenti e rapporti commerciali. «Queste dimissioni - continua Zi- vanovic - spiegano come oggi tutti temano che la situazione torni a incrudelirsi. Se dopo questa mossa si chiedessero ancora arresti e processi all'Aia, Karadzic potrebbe atteggiarsi ancora a vittima, e chiamare nuovamente a raccolta lo stato maggiore del suo partito, che poi a Pale coincide col potere. Neanche l'Occidente adesso ha interesse a far scoppiare nuove scin¬ tille». L'analisi sarà anche interessata, ma contiene molti elementi di verità. In qualche modo, conferma nei fatti quel patto segreto annunciato dal «New York Times» e smentito con indignazione da tutte le fonti americane. Una sorta di accordo non scritto in base al quale se Karadzic accetta di defilarsi i gendarmi del mondo rinunciano ad arrestarlo. Ancora una volta, questa mattina, presentandosi a Ginevra all'incontro con Tudjman e Izetbegovic che prepara la conferenza di metà giugno, Milosevic dimostra di avere tutte le carte in mano. Non è ancora chiaro chi dovrebbe succedere a Karadzic: se si tratterà di Biljan Plavsic, lady sempre più di ferro, o del portavoce del parlamento Momcilo Krajsnik, gli assetti del potere re- sterebbero immutati. Se invece toccasse all'attuale vicepresidente Nikola Koljevic, Milosevic potrebbe contare un alleato in più. La questione però non è tanto legata ai nomi quanto ai tempi. Gli accordi di Dayton prevedono che entro settembre si svolgano regolari elezioni anche nella «Srpska Republika»: e per quella scadenza, il padrone di Belgrado ha già previsto una se¬ rie di mosse. Proprio ieri a Banja Luka si è tenuto il congresso ai un partito su cui Milosevic sta contando molto. Il partito socialista della «Srpska Republika», nato appena un anno fa, ha aperto il suo congresso con la lettura di un telegramma di Milosevic, in una sala dominata dalla gigantografia di Milosevic e sugli indirizzi di saluto degli inviati di Milose¬ vic. Si chiama «Sps» il partito, proprio come quello che Milosevic guida a Belgrado. Dal grande fratello riceve appoggi e finanziamenti, pubblica un giornale tutto suo, non fa misteri dell'intenzione di ricongiungere la metà serba di Bosnia alla federazione jugoslava. Da vecchio oppositore, sia pure meno fornito di mezzi, il liberale Zivanovic prevede che alle prossime elezioni questi nuovi, vecchissimi socialisti si faranno spazio. «Sono convinto che la situazione generale resterà congelata fino a settembre, e allora, per Karadzic e i suoi sarà giocoforza fare i conti con le opposizioni. Per il momento lui ed il suo "Sds" restano i padroni assoluti, arroccati nell'eremo di Pale. Ma sono molti i serbi di Bosnia che a questo gruppo attribuiscono le responsabilità del disastro. Piuttosto, gli accordi di Dayton parlano di "elezioni con metodo democratico". Che questo possa avvenire in settembre, è tutto da verificare». Giuseppe Zaccaria Karadzic, leader dei serbi di Bosnia e, nella foto piccola, Milosevic