LA CAMERA ARDENTE DI LAMA di Lietta Tornabuoni

n A O L'OMAGGIO DELLA GENTE LA CAMERA ARDENTE DI LAMA c ROMA Luciano Lama porta la sua fascia tricolore di sindaco della cittadina di Amelia. Nella mano destra, bianca come di gesso, gli hanno messo la pipa. La bella faccia da popolano sembra rasciugata, impiccolita. Tra grandi coronedi fiori, fasti di rose purpuree, bandiere rosse e tricolori, musiche da requiem soffocate che paiono arrivare da molto lontano e tappeti rossi, nel salone della sede nazionale della Cgil vegliano il feretro gli amici e i compagni, i vigili del fuoco, i commessi del Senato con i guanti neri, i vigili urbani, i lavoratori, i carabinieri in alta uniforme col pennacchio, i netturbini in divisa. C'è un gran silenzio. Niente di spettacolare né di scomposto o affannoso. Nella luce bellissima del primo sabato di giugno, a salutare Lama arrivano insieme i politici (Scalfaro, Prodi. Nilde Jotti) e la gente affettuosa, intimidita, che chiede educatamente: -Si può andare? E' permesso avvicinarsi.-'», che parlando di lui ripete soprattutto «una persona onesta». Niente folle smaniose né file interminabili: da dieci anni Lama non era più segretario generale del maggiore sindacato italiano, il tempo segnato dalla sua presenza era finito con la mutazione della politica e delle politiche del lavoro. Ma l'unanimità del compianto non è torse soltanto occasionale né dovuta al fatto che dei morti si dice sempre bene, che la morte ricompone conflitti o dissensi: magari è il rimpianto per figure simili alla sua, dotate di grandezza, portatrici di Storia, simboli nazionali che l'Italia, adesso, pare non produrre più. Lietta Tornabuoni CONTINUA A PAG. 7 PRIMA COLONNA

Persone citate: Lama, Luciano Lama, Nilde Jotti, Prodi, Scalfaro

Luoghi citati: Italia, Roma