Dalle bombe al voto

Dalle bombe Dalle bombe al voto Martedì 14 maggio. Processati a Dachau da un tribunale militare inglese gli aguzzini di Mauthausen: 58 imputati vengono condannati all'impiccagione. Venerdì 17 maggio. Esplode una bomba davanti al Teatro «Regio» di Parma al termine di un comizio di Saragat e di Parri: nessun ferito. Bomba anche a Milano e a Bari, dopo un comizio per la Repubblica e scontri fra manifestanti e polizia. Ordigno esplode a Bologna nei pressi della Camera del Lavoro. Mercoledì 22 maggio. Piena campagna elettorale. Affissi in tutta Italia centomila manifesti contenenti una sola parola «Monarchia», su fondo azzurro; da parte repubblicana si risponde con fotografìe di Umberto che fa il saluto romano a Mussolini e a Hitler. Venerdì 24 maggio. L'agenzia «France Presse» diffonde la notizia che gli elettori italiani saranno 23 milioni, cioè 11 milioni e 700 mila donne e 11 milioni e 300 mila uomini. In una conferenza stampa De Gasperi dice ai giornalisti che gli elettori sono 27 milioni cosi divisi: 13 milioni al Nord, 5 milioni nell'Italia Centrale, 6 milioni ai Sud, 3 milioni nelle isole. La cifra comunque rimane incerta perché, scrivono i giornali, sono state escluse dal voto le province di Trieste e Gorizia; la Venezia Giulia - con Pola, Fiume e Zara - e il Trentino con Bolzano; gli italiani del Dodecanneso, Dalmazia e Albania. I prigionieri di guerra non ancora rientrati sarebbero 250 mila e i profughi non ancora registrati alle anagrafi ammonterebbero a 300 mila. Giovedì 30 maggio. Sandro Pettini, in viaggio elettorale in Toscana, è rapinato della giacca e del portafogli. Sabato 1° giugno. Chiusura della campagna elettorale. De Gasperi parla alla radio agli italiani ancora prigionieri di guerra. Il Papa afferma che il comunismo è incompatibile con la dottrina cattolica. L'indomani, giorno del voto, bar e caffé dovranno rimanere chiusi fino alle 12; chiusura totale di tutti gli altri negozi. Una bomba viene lanciata, nella notte, contro la tipografia dell'Unità e dell'Avanci a Milano. Domenica 2 giugno. Ventotto milioni di italiani, ripartiti in 31 collegi con 4764 candidati di 51 liste, di cui undici nazionali, vanno alle urne per eleggere i rappresentanti dell'Assemblea Costituente e scegliere tra monarchia e Repubblica. E' la prima volta, a 86 anni dal primo plebiscito, che l'Italia affronta un referendum istituzionale. Mercoledì 5 giugno. All'alba, dopo una notte in cui il distacco fra le due parti in lotta nel referendum era stato di poche centinaia di migliaia di voti, arriva l'annuncio ufficioso che la Repubblica ha vinto. Alle 9,30 escono in tutta Italia le edizioni straordinarie dei giornali. Venerdì 7 giugno. Colpo di scena monarchico. Il leader Enzo Selvaggi presenta ricorso in Cassazione contro il risultato del referendum basandosi sul «quorum»: «Alla corte - sostiene - sono stati trasmessi solo i dati relativi al numero dei voti validi per la Monarchia e la Repubblica, non i dati sul numero dei votanti. Poiché l'articolo 2 del decreto luogotenenziale del 16 marzo '46 sul referendum dice che la maggioranza deve essere formata dalla metà più uno degli elettori votanti bisogna calcolare anche le schede bianche, nulle o annullate. In serata però i giuristi danno un parere diverso: il ricorso Selvaggi sarà respinto ma con 12 voti contro 7. Martedì 11 giugno. Umberto annuncia che attenderà il responso definitivo della Cassazione sul computo delle schede bianche o nulle prima di riconoscere la decadenza dei suoi poteri quale re d'Italia. A Villa Savoia il sovrano prepara la propria partenza. In serata riceve varie personalità che prendono congedo. Si dirà poi che, ricevendo il grand'ammira glio Thaon di Revel, Umberto gli abbia detto: «Non ho che un desiderio. Che l'Italia, nella nuova forma istituzionale che la maggioranza ha scelto, viva in pace e prosperi». Scontri in tutta Italia fra manifestanti monarchici e polizia. I più sanguinosi a Napoli: 5 morti e 70 feriti. Mercoledì 12 giugno. Altro colpo di scena. Il governo decide che l'esercizio della funzione di Capo dello Stato, nell'attesa che l'Assemblea Costituente nomini quello provvisorio, passi al presi dente del Consiglio in carica e, nel caso, a De Gasperi. Considerando l'iniziativa «illegale», Umberto, nel giro di pochissi me ore, decide di abbandonare l'Italia lanciando un proclama in cui accusa il governo di avere «compiuto un colpo di Stato» (frase poi attenuata dal re stesso nelle parole «un gesto rivoluzionario»),

Persone citate: De Gasperi, Enzo Selvaggi, Hitler, Mussolini, Parri, Revel, Saragat, Selvaggi