I palestinesi il silenzio e la paura di Fiamma Nirenstein

I 5 PUNTI DELLA DESTRA «Adesso Israele bloccherà il ritiro promesso e rimanderà le truppe nelle zone d'Autonomia* I palestinesi, il silenzio e la paura Arafat tace, a Gaza temono il pugno di ferro SGAZA ULLE strade di Betlemme, di Ramallah e di Hebron nei caffè pieni di uomini con kefia e di giovani in maglietta, o a Gaza, fra i poliziotti che piantonano il nuovo Parlamento palestinese dove proprio nelle ore serali di ieri i leader discutevano la nuova situazione, il nuovo drastico camaiamento intervenuto nella politica israeliana, si parla solo del grande choc, dell'avvento di Bibi Netanyahu al posto di Peres, l'uomo che ormai tutti si erano abituati, con sentimenti svariati, a considerare il partner del futuro stesso dei palestinesi e di Arafat, l'uomo che andava con lui, letteralmente, mano nella mano. A Gaza, che è la casa di Arafat, le reazioni sono più amare che altrove; il rais anche se medita un'uscita pubblica morbida, che non rovini in partenza il rapporto col nuovo primo ministro israeliano, sa benissimo che Netanyahu ha seguitato fino a pochissimi giorni dal voto a ripetere persino di non volerlo incontrare, di non fidarsi di lui, di considerarlo in buona sostanza un complice oggettivo dei terroristi. Inoltre Bibi certamente non è grato ad Arafat per aver tentato con tutte le sue forze di salvare Peres; ogni giorno i due vecchi leader degli ebrei e dei palestinesi si sono sentiti al telefono per aggiornarsi sulla situazione della lotta al terrorismo; Arafat ha cercato con tutte le sue forze di tener fermi gli integralisti islamici e negli ultimi due mesi ci era riuscito, con collegamenti stretti fra i servizi delle due parti, arresti a catena, trattative segrete di cui giungeva eco anche fuori delle stanze dei potenti. Arafat doveva ricevere da Peres il regalo immediato dell'evacuazione di Hebron, la città più controversa dove 400 coloni vivono in mezzo a 150 mila arabi. «Non se ne andranno; ma neppu- re se n'erano andati prima», un vecchio uomo seduto a un caffè non alza gli occhi. «Sarà lo stesso; Bibi e Peres sono due facce della stessa medaglia. La nostra disgrazia, la nostra oppressione». «Non è vero - risponde Nadem, un giovane di 28 anni -. Anche per noi sarà un disastro. Nel ruolo del ministro della Difesa ci sarà il generale che ha più perseguitato Gaza, Yitzhak Mordechai. E vicino a lui ci saranno Sharon, Raphael Eitan... Tutti personaggi che ci odiano. La sinistra israeliana ha sbagliato tutto, doveva attaccare, mordere in campagna elettorale. E doveva soprattutto portare a termine il lavoro intrapreso. Ci lascia che non siamo ancora né carne né pesce, senza Stato, senza Hebron, senza Gerusalemme. Dovevano almeno finire il lavoro». Una donna col velo bianco delle religiose e il vestito fino ai piedi, ride contenta: «Il processo di pace è fallito, quell'idiota tentativo di andare d'accordo con gli amici di Goldstein. Sono assassini, devono andarsene. Peres ha fatto uccidere l'Ingegnere Yehie Ayash: i miei figli - dice la donna - seguiteranno a vendicarlo finché tutti gli ebrei non spariranno dalla zona». Però si trova anche per strada qualcuno che dice che Bibi forse sarà migliore di Peres: «Forse più energico; più gio¬ vane, ha più forza», ci dice un venditore di frutta al mercato. «Si fa rispettare di più, forse potrà lavorare meglio di Peres». Nel suo studio di medico a Gerusalemme Est Hamad Tibi, il qua¬ rantenne portavoce di Arafat in Israele, è terribilmente angosciato. Pallido, sorpreso, parla ogni minuto concitatamente al telefono in arabo. I suoi compagni palestinesi più impegnati nel dialogo con Israele come Sofian Abu Zayde, appunto il responsabile per l'Autonomia dei rapporti con lo Stato ebraico, hanno già dichiarato che queste elezioni potranno essere addirittura portatrici di sangue, che possono fermare tutto il processo di pace. E Tibi? Ha parlato oggi con Arafat? «Tutto il tempo». E che cosa dice? «La posizione ufficiale uscirà tra poche ore; posso però dire che Arafat era molto legato umanamente a Peres. Hanno fatto insieme il trattato di Oslo, a quattro mani; hanno preso il premio Nobel insieme. Hanno fondato insieme una nuova era. Hanno impostato il loro rapporto su una base umana». E Ne¬ tanyahu invece, ha ripetuto tante volte che non avrebbe mai voluto incontrare Arafat... «Spero che Netanyahu, nel suo nuovo ruolo acquisti quel senso di responsabilità che purtroppo nella campagna elettorale non ha davvero dimostrato. Qui siamo di fronte a due popoli nel pieno di una vicenda delicatissima... Speriamo che Netanyahu non distrugga gli storici passi che abbiamo compiuto insieme ultimamente». C'è nell'aria la possibilità che Netanyahu non liberi Hebron; e che se ci saranno altri attentati rientri con le truppe all'interno dell'Autonomia palestinese. «Se Netanyahu insisterà nella linea di forza, se darà spazio a Sharon che ha già dichiarato che non restituirà Hebron, se non rispetterà il trattato di Oslo e i patti sanciti, sarà il disastro...». «E' possibile - ripete Hamad Tibi - che il Likud ci porti al disastro, sì, è possibile che tutto sia finito. Io però spero davvero che il nuovo ruolo attribuisca a Netanyahu nuove caratteristiche, che lo renda più responsabile del destino di tutti. Quanto ad Arafat: per lui al primo posto c'è e c'è sempre stato il processo di pace. Questo era il suo primo pensiero e lo resta tuttora, anche con Bibi primo ministro». Fiamma Nirenstein