ACHENG: LA MIA CINA VISTA DA LOS ANGELES di Piero Soria

ACHENG: LA MIA CINA VISTA DA LOS ANGELES ACHENG: LA MIA CINA VISTA DA LOS ANGELES ON Chiacchiere, il cui sottotitolo è «Vita quotidiana e narrativa in Cina», Acheng ha scritto una breve storia della narrativa cinese, come settant'anni fa Lu Xun. Il grande saggista e scrittore dell'inizio del secolo, nel 1924, con il fratello, aveva fondato la «Società della chiacchiera», una delle numerose associazioni culturali che si formarono nel clima di rinnovamento letterario seguito al movimento del 4 maggio 1919. Nello stesso anno Lu Xun pubbhcò la Breve storia della narrativa cinese, che fu poi riveduta nel 1930 e tradotta in Occidente (in itaJiano uscì nella versione dall'inglese nel 1960). Acheng, fin dal titolo, si riallaccia idealmente a Lu Xun, che considera un maestro e un modello di vita. Alla scuola media Acheng era stato portato a visitare il Museo di Lu Xun: perché lo scrittore aveva trascorso la seconda metà dell'esistenza fuggendo? «Per preservare la sua testa pensante». Chiacchiere, che esce nelle edizioni Theoria a cura di Maria Rita Masci, raccoghe, in 77 svelti capitoletti, i testi delle conferenze tenute dal settembre 1987 al novembre 1993: un volume a completamento degli studi teorici intrapresi da Acheng, che, due anni fa, sempre da Theoria, aveva pubbhcato l'antologia personale Strade celesti, in cui venivano presentati otto scrittori da lui ritenuti tra le voci più importanti della narrativa cinese contemporanea. Le osservazioni sulla società e sulla vita quotidiana in Cina, le chsamine stilla dottrina yang-yin e sulle scuole filosofiche e religiose (daoismo, confucianesimo, buddhismo), che occupano la prima parte del libro, le considerazioni sulla letteratura, nella seconda, dalle espressioni degli inizi fino ai narratori di oggi, sono intervallate da episodi autobiografici, da richiami storici e da aneddoti gustosi. Dopo ima breve presentazione di sé m apertura, Acheng passa a esaminare la storia della civiltà cinese nei suoi molteplici aspetti: il linguaggio (la miriade di lingue e di dialetti nel continente Cina), la scrittura (la natura divina dei caratteri e il sacro rispetto dei cinesi, anche analfabeti, per la carta scritta: l'archeologo Zhang Guangzhi sostiene che i caratteri si scrivono in verticale per mettersi in comunicazione con la mvinità, la scrittura occidentale invece è orizzontale in quanto diffonde un messaggio tra gli uomini), la cucina, la poesia, il teatro, il romanzo. A ogni passaggio di dinastia, a ogni sovvertimento o rivoluzione, con relativo cambio di potere, si diceva che veniva instaurata una «Nuova Cina». In epoca moderna, in Cina, «nuovo» è sinonimo di «buono». Così Mao ebbe buon gioco nel lanciare i vari movimenti politici ed economici per eliminare quanto c'era di «vecchio». I famosi quattro vecchiumi (vecchie abitudini, vecchi costumi, vecchie idee, vecchia cultura) avevano tutti attinenza con la vita quotidiana. E gli stadi di collettivizzazione, i gruppi di aiuto reciproco, le cooperative agricole, le comuni popolari, che dovevano spazzare via il «vecchio», finirono invece per far scomparire gli spazi privati della gente. «Quando entrano in gioco le ideologie, basta un nonnulla per trasformare un concetto in un'assurdità». Il tono è quello confidenziale della conversazione, senza livore nei riferimenti al periodo della rivoluzione culturale che Acheng ha vissuto sulla propria pelle (per dieci anni fu mandato a lavorare nei campi e sui monti per essere rieducato dalle masse) e appena venato dalla malinconia di chi, in esilio (dall'87 egli vive a Los Angeles), si volge verso la terra madre alla «ricerca delle radici». Acheng legge la realtà e la cultura del suo Paese con partecipato distacco e con ilare umorismo, con riflessioni dotte (i continui rimandi a fatti e a personaggi storici) e con analisi pacate e dissacranti. A proposito della relazione, in epoca tang, tra la poesia e la musica, che favorì il proliferare di un gran numero di componimenti cantati dalla gente (pare più di cinquantamila), dice: «Le poesie tang, che consideriamo così raffinate, in realtà somigliavano alle canzoni di moda e al karaoke». Acheng è convinto che l'origine dell'arte risalga agli sciamani del periodo matriarcale: «Su cosa si basava l'arte all'inizio? Sull'immaginazione. All'epoca degli sciamani poggiava sull'immaginario dello stregone e la gente comune credeva in quelle immagini)). Così gli artisti sono tutti stregoni. Anche per la narrativa Acheng parte da lontano: dalle Memorie di uno storico di Sima Qian (14586) - il primo a scrivere una storia dinastica con brio e vivacità lungo i secoli, gli aneddoti della tradizione orale, i sermoni dei monaci buddhisti, i fatti strani e fantastici dei cantastorie, i romanzi dell'epoca Ming (l'età d'oro del romanzo popolare in Cina), attraverso le descrizioni, i personaggi, gli intrecci negli interni familiari e nei cortili, nelle locande e nei vicoli, nei monasteri e nei tribunali, testimoniano dell'esuberanza, della vitalità e dell'entusiasmo della vita quotidiana. Esuberanza e vitalità, rivalutate dal movimento del 4 maggio e riprese.dalla narrativa del Novecento, che, dopo la funesta parentesi della rivoluzione culturale, Acheng ritrova nelle opere degli scrittori contemporanei. Né noioso trattato di sociologia e di critica, né pedante compendio di letteratura, Chiacchiere è un'opera sciolta e scorrevole sul piano della lettura, a riprova che Acheng, anche da lettore e da saggista, resta un grande narratore. Angelo Z. Gatti californiana che sforna polpettoni storici e telenovelas erotico-religiose, oscuro palcoscenico di orge omosessuali all'ombra di set abitati dalla dea Kali e dalle altre corrucciate figure di un paradiso assurdamente vendicativo. Ed è proprio il cinema il filo conduttore che - in qualche modo - lega, in questo viaggio giallo, La stagione dei monsoni a Le acque di Formosa di Anthony Hide: il luogo del delitto si sposta a Taipei, nella Taiwan di oggi, quella delle esercitazioni cinesi al largo dell'isola per influenzare le elezioni presidenziali, con le portaerei e i soldati americani schierati al largo, arbitri di una diaspora spesso sanguinosa. Ma la soluzione degli enigmi è nel passato, nella dorata Shanghai degli attori, dei bordelli e della vita da gettare, dove la futura sposa di Mao si fa largo in un'atmosfera tor¬ bida di alcol e di sesso per ottenere alfine quella parte che, dandole la celebrità, le schiuderà le soglie del potere fino a diventare la spietata ideologa della Banda dei Quattro. Anche qui il protagonista è un sangue misto - metà cinese metà americano - e la sua indagine più che alla salvezza lo condurrà alla scoperta delle origini, in una sorta di estenuante pellegrinaggio storico che - finalmente - ha un'ottica del tutto orientale. La Lunga Marcia, il Kuomintang, il colonialismo occidentale e quello giapponese, l'approdo neU'Ihla Formosa - l'isola Bella dei portoghesi - e ad Hong Kong, sono la tela del passato che avvolge un presente lontano dalle cartoline letterarie abitualmente usate per dare paesaggio ad una vicenda. Ultima meta del thriller di maggio è uno sfrenato giro del mondo al seguito dell'Onda d'urto di Clive Cussler, un immenso maremoto che tocca i continenti e delle cui cause - come al solito - è alla ricerca Dirk Pitt, immarcescibile eroe della Numa, l'agenzia di ricerca sottomarina statunitense. La trama in sé è meno felice del solito, ma trascina il lettore ir alcuni angoli sconosciuti, sicuramente di grande fascino. Su tutti: il Mar di Tasmania per una veleggiata seguita da un naufragio e dalla sopravvivenza su un'isola deserta; la British Columbia Canadese per una storia indiana di radici e tradizioni; l'Antartide per una vivida avventura tra flora, ghiacci e fauna; l'Australia per un tuffo nella nuova frontiera. E infine l'Immenso Oceano, grande, e inafferrabile patria di ogni viaggiatore. Piero Soria