Mastroianni leggerezza che incanta di Osvaldo Guerrieri
«Le ultime lune» «Le ultime lune» Mastroianni leggerezxa che incanta TORINO. Sulla scena, Marcello Mastroianni non ha nome. E' un «uomo molto vecchio», un ex professore universitario vedovo da molti anni, accanito ascoltatore di Bach, che abbandona la casa condivisa con il figlio e la sua giovane famiglia e si trasferisce in un ospizio dal quale, molto verosimilmente, non uscirà più. Intorno a quest'uomo «molto vecchio», eppure animato da un'impazienza di mente e di cuore destinata a placarsi in una snervata rassegnazione, Furio Bordon ha composto l'atto unico in due tempi «Le ultime lune». Prodotto dallo Stabile del Veneto e diretto da Giulio Bosetti, lo spettacolo giunge all'Alfieri (dove resterà fino a domenica) dopo una tournée a dir poco trionfale. Ed è curioso che proprio a Torino, dove Mastroianni è amatissimo, la platea del teatro rivelasse l'altra sera qualche vuoto. Certo l'argomento della commedia è pochissimo seducente: è una lunga, ininterrotta variazione sull'invecchiamento, sulla solitudine dei vecchi, sul loro intrufolarsi nel grande silenzio della vita, la cui pena può essere allevata dalle memorie, se queste non diventano a loro volta un ulteriore motivo di tormento. Il professor Mastroianni ha avuto un passato felice. Ne parla con il ricordo della moglie (incarnata da Erica Blanc) che viene a visitarlo nel momento del trasloco e dibatte con lui, tra ironia e delicato sarcasmo, un presente molto malinconico che ha come unica prospettiva l'esilio. Il figlio (Giorgio Locuratolo) accompagna il padre al suo nuovo domicilio, a quella villa che è un deposito di passi strascicati, di regole, di medicine, di minuscole crudeltà. Qui il pensionante coltiva in un vaso di latta una pianta di basilico, il cui profumo «sa di gioventù», e ascolta i rumori che rotolano dentro le tubature: sono le voci di coloro che se ne sono andati, il canto di chi non esiste più. Bisogna riconoscere che Furio Bordon ha trattato questa materia con leggerezza, in alcuni punti con garbata ironia, controllando il flusso delle angosce e delle disperazioni. Certo ha seguito il filo del suo discorso con implacabile fedeltà, senza allontanarsi mai dal tema che nessuno si sognerebbe di trasformare in una chiacchiera di salotto. Ma, per quanto governato da una scrittura abile e da una ben mimetizzata furbizia sentimentale, il pregio dello spettacolo sta quasi del tutto nell'interpretazione di Mastroianni. Che è di una sobrietà incantevole. L'attore disegna il proprio personaggio con tocchi brevi, lo invade con delicatezza, in punta di piedi, vorremmo dire quasi in punta di sillaba. Con questo «understatement» crea un'emozione grandissima che inchioda lo spettatore alla poltrona e si scioglie alla fine in un applauso temporalesco, infinito, in un'ovazione che è soprattutto una dichiarazione d'affetto. Osvaldo Guerrieri Mastroianni Mastroianni
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