Giornalisti non ragazzi della via Paal giovani soli alle porte del2000 di Sergio Romano

Leggi dalla vita stentata LETTERE AL GIORNALE Giornalisti, non ragazzi della via Paal; giovani soli alle porte del2000 II salto di qualità nella notizia I due suggerimenti di Sergio Romano per un salto di qualità del giornalismo italiano sono suggestivi e pienamente condivisibili. Di alta scuola. Non è invece convincente, almeno nel variegato contesto italiano, l'ammirazione per la frase di James Reston, secondo la quale «i giornalisti non fabbricano le notizie, ma si limitano a consegnarle il mattino come il lattaio consegna la bottiglia del latte». Fabbricare, per una notizia, è un verbo inadatto e antipatico che può richiamare in qualche modo il costume partigiano, d'assalto o comunque eccessivamente discrezionale che Romano denuncia con giusto vigore. Pero il giornalista non è un fattorino: le notizie deve cercarle senza paraocchi, oltre a essere artefice della loro corretta «confezione». E questo, riprendendo il paragone-metafora di Reston, significa anche che il giornalista deve andare alla caccia del latte più sano e migliore dovunque esso si trovi e non fermarsi alla stalla amica, al distributore più vicino o alla centrale indicata da chicchessia, nell'interesse esclusivo del consumatore. Certo, latte: non miele e neppure assenzio. Ineccepibile l'aspra critica di Romano ai giornalisti in uniforme, spesso «ragazzi della via Paal» più che ussari. Ma quanto regge a un'analisi razionale e non romantica il motto che un tempo si leggeva sulla testata del New York Times: «Tutte le notizie che è giusto pubblicare». Giusto per chi? E' un interrogativo ingenuo e assai complesso, che richiama una gran quantità di problemi riguardanti l'etica professionale e anche gli invocati spazi di neutralità, ogni giorno pragmaticamente in gioco. I quotidiani di queste ore darebbero diverse occasioni per approfondire ed esemplificare. Ne raccolgo una, lontana dalla politica. Sono condivisibili molte deplorazioni per lo «scannamento» (vocabolo forte usato da Maurizio Costanzo) riservato a Superpippo. Meno giustificate le sorprese pro- vocate dal «furore» con il quale vengono sbattuti in prima pagina i campioni della televisione. La troppo facile popolarità è una strana medaglia: meraviglierebbe se non avesse un altrettanto strano rovescio. Dicendo questo, per carità, non si avallano gli scannamenti. E' la semplice constatazione di meccanismi onnai sfuggiti alla misura. E alla logica. Dino Basili, Roma I fatti non si neutralizzano L'Ambasciatore Romano ha rivolto, dalle colonne della Stampa, alcuni suggerimenti ai giornalisti italiani che, spiace affermarlo, richiamano alla memoria i contenuti del «Decalogo» che la corte di Cassazione ebbe a varare circa un decennio fa, un documento che fu detto «delle virgolette» e che già allora la categoria respinse. E si trattò di un diniego legittimo e opportuno, poiché i giornalisti, che attraverso il sindacato e l'ordine hanno molto arricchito e aggiornato in questi anni i loro strumenti deontologici ed etici (fra questi: la Carta di Treviso con il Comitato di garanti sui minori, la Carta dei Doveri con il Comitato per la lealtà e la correttezza dell'informazione, i richiami posti nel Contratto nazionale di lavoro sui rapporti con la pubblicità), allora come oggi non possono essere immaginati come una sorte di «servitori dell'interesse generale», quasi dovessero porsi come specchio «fedele e impassibile» degli accadimenti e dei personaggi della politica. 11 ruolo della stampa e dell'informazione non può essere soggetto a codifiche e a «neutralizzazioni» di alcun genere, fermi restando i principi generali del rispetto sostanziale dei fatti, della lealtà e della buonafede e fatte salve le peculiarità e le funzioni del servizio pubblico radiotelevisivo. I giornali sono stati, sono e dovranno essere sempre liberi di fare scelte di campo, all'unica condizione di dire chiaramente la loro linea editoriale ai lettori, liberi essi di giudicare e di scegliere. Il giornalista, a sua volta, è e deve essere libero di valutare la linea proposta dal direttore, di esercitare il ritiro della firma e, se costretto dalle circostanze, la clausola di coscienza, conquiste civili e professionali fondamentali, connaturali alla libertà di stampa e di espressione. D'accordo, invece, con l'Amba¬ sciatore Romano nella severità di giudizio sulla «par condicio», normativa per la quale, osservo, le responsabilità sono riferibili all'intreccio determinatosi fra politica e tv piuttosto che al giornalismo italiano «tout court». E infine, con amichevole provocazione, vorrei chiedere all'Ambasciatore: è corretto chiedere un «esame di co¬ scienza» ai giornalisti e non accompagnare tale invito con analoga richiesta nei confronti della compagine, peraltro sempre più ristretta, delle proprietà editoriali? Paolo Serventi Longhi, Roma segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa Appelli disperati per trovare amiche Sono un assiduo lettore di alcuni giornali per «cuori solitari» dei quali (essendo un single anziano) mi interessano anche gli annunci matrimoniali. E' con rammarico che proprio tra questi leggo spesso appelli «disperati» di giovani che cercano amiche perché soli o incompresi. Ora io chiedo e vorrei che qualcuno mi rispondesse: come mai oggi che, alle porte del 2000, c'è tanta libertà, un giovane può sentirsi solo? Eppure i giovani d'oggi, a differenza dei miei tempi (classe 1935), hanno cento vantaggi in più. Qualche esempio: la discoteca, l'indipendenza, la possibilità di comunicare apertamente. Ma poi basti solo fare il confronto tra il libero pensiero dei giovani d'oggi con quelli di ieri. Non c'è paragone. Coraggio quindi, giovani soli, spero che quanto ho detto vi possa confortare. Giacomo Giglio Castelvetrano (Trapani) Walzer, i mormoni non sono «pazzi» Leggendo l'interessante intervista di Alberto Papuzzi a Michael Walzer «Religione e politica, il sogno della tolleranza» (La Stampa di venerdì 24 maggio), trovo una sconcertante affermazione del sociologo americano in tema di mormoni, definiti «religiosamente dei pazzi, con tutto il rispetto per la multicultura» e dati per «nati a New York nel 1843». Giacché studio il mormonismo da oltre quindici anni, ne ho dato conto in diversi volumi (tra cui il mio Les Mormons del 1991, tradotto in italiano dalla Libreria Editrice Vaticana nel 1993), e ne ho fatto oggetto di corsi monografici al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma, dove insegno storia e sociologia dei movimenti religiosi, credo di avere qualche titolo per essere sconcertato. Non è obbligatorio - neanche per un collega di vasta cultura come Walzer - conoscere la storia della Chiesa mormone e sapere, per esempio, che non è stata fondata a New York nel 1843 ma a Fayette il 6 aprile 1830. Non è obbligatorio, naturalmente, essere d'accordo con le idee della Chiesa mormone (non lo sono neppure io, come cattolico, anche se sospetto che il dissenso di Walzer riguardi più la difesa dei valori della famiglia e l'opposizione all'aborto che la cristologia o la pratica del battesimo per i morti). Non è obbligatorio ricordare che tra i «pazzi» mormonici ci sono figure chiave della cultura americana del nostro secolo come il diplomatico J. Reuben Clark, io scrittore Orson Scott Card, il costituzionalista e senatore Orrin Hatch, il filosofo Sterling McMurrin, direttore dell'istruzione pubblica americana durante la presidenza Kennedy, scomparso qualche settimana fa e tra l'altro politicamente vicino (a differenza del senatore Hatch) alle idee di Walzer; che la Chiesa mormone gestisce la più grande università privata degli Stati Uniti, la Brigham Young University, le cui due riviste (storico-filosofica e giuridica) godono di un prestigio accademico indiscusso non solo negli Stati Uniti. E' invece - almeno secondo me obbligatorio ricordare che il qualificare come «pazzi» gli esponenti di religioni minoritarie (ma non troppo; i mormoni sono oltre nove milioni), stigmatizzare queste religioni come «sette» e fare ironia sulla «multicultura» apre la strada alla discriminazione e all'intolleranza. Confido che quella di Walzer sia stata solo una battuta: credo che egli sappia meglio di me che negli Stati Uniti l'anti-mormonismo e l'anti-semitismo (accompagnati in genere dall'anticattolicesimo) sono usciti spesso dalle stesse odiose officine «nativiste» e razziste. prof. Massimo Introvigne Torino direttore del Cesnur

Luoghi citati: New York, Roma, Stati Uniti, Torino, Treviso