Il fantasma del boss perfetto di Francesco La Licata

Il fantasma del boss perfetto I MISTERI DEL PADRINO Il fantasma del boss perfetto La «telenovela brasiliana» di Aglieri PALERMO DAL NOSTRO INVIATO C'è chi sostiene di averlo visto, vivo e vegeto, aggirarsi per i giardini tra Villagrazia e le borgate della Guadagna e Falsomiele, il regno che fu di don Paolino Bontade, prima, e del figlio Stefano fino agli Anni 80. Ma c'è anche chi, come l'imprevedibile giudice brasiliano Walter Fanganiello Maierovitch, insinua il dubbio che la nuova «primula» di Cosa Nostra stia trascorrendo la sua latitanza dorata a San Paolo, magari all'ombra dei grattacieli dell'Avenida Paulista, moderno «Tempio» dei sacerdoti delle Multinazionali, dove don Masino Buscetta, allora mafioso di successo, mitigava la nostalgia delle lumie siciliane nei favolosi locali notturni e i generali argentini al n. 807 (edificio Winston Churcill) - si riunivano in segreto con i piduisti italiani. Ma, ad onor del vero, chi vive fra i germogli degli aranci palermitani dà scarsissimo credito alla «telenovelas brasiliana di Pietro Aglieri, detto «u' signurinu», giovane boss emergente dell'onorata società palermitana. E si sprecano i sorrisetti ironici se azzardi ad avviare un discorso serio su «Pitrinu», descrivendolo come il condottiero che dovrebbe riportare Cosa Nostra di Palermo agli antichi splendori e alla rinnovata supremazia sui «corleonesi» in declino inarrestabile. Già, anche Aglieri - come Brusca e come tutti gli ultimi emergenti non sembra un granché di boss. La sua, è una storia povera, un po' piatta, e se concede qualche sussulto lo si deve più alle radici della borgata dove Pietro è nato, cresciuto e - improvvisamente - ha fatto carriera. «Pitrinu» è nato alla Guadagna, il 9 giugno del 1959. Il padre, Vincenzo, è un vecchio coltivatore e possidente. La sua passione, le arance. C'è stato un momento che ne ha inventato una qualità speciale, molto apprezzata in Sicilia e non solo. Quelli erano i tempi d'oro di Palermo: i «massari» della Conca d'Oro badavano agli agrumeti che valevano un Perù, tanto da preferirli alla suggestione della speculazione edilizia che bussava alle porte. La mafia era compatta: niente guerre, poca droga, i capi erano capi e comandavano, m quel territorio comandava don Paolino. Poi fu la volta del figlio, Stefano. Tutto andò liscio fino al 1981, quando l'erede di don Paolino rimase sull'asfalto di via Aloi e sul fratello Giovanni si stagliò l'ombra dell'infamia di essere stato uno dei carnefici del proprio sangue. Cominciò così la decadenza della borgata, di Palermo e, in definitiva, della mafia palermitana. Una caduta libera che, dopo 15 anni, non si è ancora arrestata. I vecchi di Villagrazia scuotono la te- sta, commentando la «brutta fine» dei Bontade, e si chiedono come sia stato possibile tutto ciò. Un segno della decadenza? Gli anziani bisbigliano che una delle figlie femmine di don Stefano «si ni fuiu», è fuggita, «con un carismatico». «Un nivuru, figlio di uno stregone», sottolineano. E quella povera donna della madre «le deve mandare i soldi ogni mese». «Ah, se ci fosse suo padre! E che dire di Roberta, una delle glie di Giovanni Bontade, assassinato dentro casa con la moglie nel 1986? La ragazza «si sposò col figghiu di Nino Bontà». E allora? Che c'è di male? «Che c'è di male? Ma se fu proprio Nino a farsi aprire la porta da Giovanni per far entrare gli assassini? Così dissero gli sbirri che facevano le indagini». In questo panorama di dissolu- zione della tradizione, Pietro Aglieri è comparso come una meteora. La sua, non sembra una famiglia di mafia. I fratelli, Carlo (39 anni) e Rosario (27) - entrambi diplomati ed educati dai preti del don Bosco non hanno mai avuto problemi, prima. La sorella fa l'insegnante. Bisogna andare indietro, fino al nonno Vincenzo, per imbattersi ufficialmente in un comportamento omertoso. Don Vice, era lui conosciuto come «u' signurinu» per via della inusuale eleganza per un agricoltore, si rifiutò di testimoniare in ima bega tra vicini. Fu diffidato ed accusato di «comportamento mafioso». Il nipote ereditò le terre e il gratificante soprannome. Stava per finire prete, Aglieri. Ha studiato in seminario: prima alle medie, poi al liceo da esterno, allie- vo di don Salvatore Gristina, vicario del Cardinale. Dopo la maturità classica, la facoltà di agraria in ossequio alla volontà paterna che inseguiva il mito delle arance più belle del mondo. Quindi il militare, nei «para» a Pisa. Ma «Pitrinu» non diventerà mai quello che sognava il padre. Mentre la gente della «salita dei diavoli», alla Guadagna, lo guardava come il bravo ragazzo, mite e intellettuale, lui entrava nella «Grande Famiglia» e rapidamente - grazie soprattutto al terremoto del dopo guerra - arrivava al vertice. Fino a scalare, in una sola volta i gradi di capofamiglia e capomandamento. Così almeno raccontano i pentiti Totò Caneemi, Francesco Marino Mannoia, Totuccio Contorno, e poi Barbagailo e Drago. Eppure, fino a quel momento, a carico di «Pitrinu» c'era solo una lettera anonima inviata al giudice Falcone e al commissario Cassare. Ma su Aglieri, né il magistrato, né il poliziotto riuscirono a concretizzare i sospetti. Certo, il giovanotto si vedeva in giro. Serate alla Kalsa, al Cerchio, nei ristoranti da novantamila a coperto. Ma sempre con sobrietà, nell'abbigliamento e nelle automobili. Senza ostentazione: jeans e giubbotto, piccole auto veloci e maneggevoli. Poche ragazze. Lui non le cercava, per uscire la sera le procuravano i giovani della «famiglia», ragazzotti come Piero Pilo o Giovanni Augello. Il capo, si sa, non si espone con le femmine. Gli unici cedimenti ai «vizi»? Una passione per le canzoni di Milva e per le Carnei senza filtro. Sarebbe un capo perfetto, se fossimo certi della sua esistenza. Già, perché - dimenticavamo - di «Pitrinu» la pohzia possiede una foto vecchia e poche descrizioni. «Ma lo prenderemo lo stesso», dicono i segugi. Francesco La Licata Le uniche sue passioni sono le canzoni di Milva e le sigarette Una carriera nell'ombra di capofamiglia decaduti Dubbi sulla latitanza dorata nei grattacieli di San Paolo

Luoghi citati: Palermo, Perù, Pisa, San Paolo, Sicilia