Per i rivali repubblicani è una vittoria di Pirro di F. P.

E' I m" illlllllf UNO SCANDALO TROPPO COMPLICATO Per i rivali repubblicani è una vittoria di Pirro E' I m NEW YORK " sembrata un po' strana la modesta reazione che i repubblicani hanno avuto al verdetto di Little Rock. Dopotutto, la sentenza di colpevolezza emessa contro gli amici e associati politici di Bill Clinton e il fatto che quasi tutti i capi d'imputazione siano stati accolti dimostrano che il «caso Whitewater» non era una montatura e che non era stato costruito sul nulla. E poi, il fatto che la testimonianza di Bill Clinton in persona non sia riuscita a «salvare» gli imputati non dimostra che la giuria non ha creduto alle parole del Presiden¬ te, magari considerandolo «parte in causa»? E ancora: visto che il fumo di Whitewater ha alla fine mostrato l'esistenza dell'arrosto, non avvalora questo l'ipotesi che la Casa Bianca abbia voluto «coprire» la faccenda? Le accuse di avere preso illegittimamente i documenti di Vincent Foster dal suo ufficio quando si uccise (se si uccise), la vicenda delle «carte» di Hillary scomparse per due anni e poi riapparse misteriosamente nella stanza attigua al suo ufficio alla Casa Bianca, perfino l'insinuazione che forse Foster non è morto suicida ma «è stato suicidato», non diventano più facili dopo la scoperta che comunque «qualcosa» da coprire c'era? Nei mesi scorsi gli avversari di Clinton non gli hanno dato tregua. Ora che qualcosa in mano, bene o male, ce l'hanno, se ne stanno zitti, lasciando al solito Newt Gingrich il ruolo del bisonte che attacca a testa bassa. Perché Robert Dole ha preferito tacere? Perché perfino Alphonse D'Amato, che per mesi si è attaccato ai più insignificanti particolari per fare insinuazioni su insinuazioni dal suo posto di presidente della commissione senatoriale d'indagine, si è limitato a di- re che i lavori di quella commissione finiranno il 15 giugno corno pattuito e che questo verdetto «non cambia nulla»? La tentazione «dietrologica» è forte e non manca chi vi cede. Ma forse l'ipotesi che un po' lutti fanno, e cioè che il Whitewater, elettoralmente, «non paga», è quella più giusta. Sono anni ormai che su questa storia si «spinge», e sono anni che il pubblico risponde: non me ne importa niente. Tempo fa il «New York Times» pubblicò perfino una lunga inchiesta su come la «gente» reagiva, e il risultato fu che nessuno ci capiva niente, che quel poco che si capiva era una cosa che «tutti» i politici fanno e clic fra le due possibilità, quella che Clinton avesse davvero combinato qualcosa di illegale e quella che i repubblicani si accanissero eccessivamente, la grande maggioranza sceglieva comunque la seconda. Loro, i repubblicani, sono andati avanti comunque, hanno ottenuto la nomina dello «special prosecutore, poi della commissione senatoriale d'inchiesta ma alla fine, cioè al momento di piazzare le proprie truppe in campo, con la designazione di Dole al molo di sfidante di Clinton, si sono trovati con quei 20 pimti percentuali che nei sondaggi lo dividono dal Presidente. Così hanno cambiato strategia, hanno deciso di mollare quest'osso e infatti è arrivato l'accordo di chiudere la commissione il 15 giugno. Ora, il verdetto è arrivato a nuova strategia già impostata e il «ritorno indietro» deve essergli sembrato pericoloso. Se non ha funzionato quando dicevamo peste e conia, si sono detti, figuriamoci con questa sentenza, complicata e in parte «favorevole» a Clmton. Così le trombe repubblicane hanno taciuto. Per abbattere Clinton, cercheranno qualcos'altro, [f. p.]

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