Il Ghetto tifa laborista di Andrea Di Robilant

Il Ghetto tifa laborista GLI EBREI ITALIANI Il Ghetto tifa laborista L'attesa ansiosa a Trastevere TROMA IFO Peres e credo che vincerà di stretta misura», aveva detto - profeticamente, a quanto sembra - il rabbino capo Elio Toaff poco prima della chiusura delle urne. Ma poi il margine di vittoria decretato dai primi exit-poli è risultato talmente esiguo che il leader spirituale della comunità ebraica non se l'è sentita di esultare per la vittoria del suo amico Shimon. «E anche se poi, alla fine, dovesse vincere Natanyahu non sarebbe una grande sconfitta», ha aggiunto, forse per cautelarsi contro ogni eventuale sorpresa notturna. «In fondo anche lui vuole raggiungere la pace, sebbene per altre strade...». Come Toaff, la comunità ebraica, quasi tutta schierata a favore del leader laborista, è rimasta col fiato sospeso. Ed ha preferito rimanere muta, rinviando ogni commento e ogni manifestazione post-elettorale ad oggi, quando l'esito delle elezioni sarà più chiaro. Molti giovani ebrei di Roma si erano dati appuntamento ieri sera alla Scuola ebraica, a Trastevere, per seguire in diretta i risultati delle elezioni su un maxi-schermo collegato con la televisione israeliana. I giornalisti erano stati tenuti alla larga. «Questa non è una partita di calcio», alcuni di loro avevano spiegato. E anche dopo i primi exit-poli le porte sono rimaste chiuse agli estranei. Silenzio anche dall'altra parte del Tevere, nel cuore del ghetto di Roma, dove per tutta la giornata si era respirata un'aria di ottimistica attesa. Ieri sera, poco prima della chiusura dei seggi in Israele, gli anziani ebrei che si raccolgono ogni giorno davanti al Bar Totò per scambiare quattro chiacchiere prima di ritirarsi erano tutti schierati con il leader laborista. «Netanyahu è un falco», diceva uno di loro, David Di Segni. «Qui nella comunità vogliamo tutti la pace. Anzi, più della pace: vogliamo aiutare i palestinesi a trovare casa e lavoro. Per questo siamo con Peres». Non c'è soltanto sintonia politica dietro al sostegno di cui gode Peres nel ghetto. Molti ebrei romani hanno visto Peres personalmente - alcuni lo hanno anche conosciuto - in occasione di una delle sue numerose visite a Roma. «Lo sentiamo più vicino a noi», spiegava Piero Terracini, un ex deportato ad Auschwitz che ieri sera se ne tornava a casa con un sorriso e un sacco della spesa in mano per seguire i risultati sui Tg. «Abbiamo una maggior consuetudine con lui, così come l'avevamo con Rabin. Netanyahu qui nessuno lo ha mai visto». L'affinità con il partito laborista si è rafforzata negli anni anche perché - dice Terracini «il ghetto è di sinistra. E' una sua particolarità: c'è sempre stato un proletariato ebreo-romano che ha influito sull'orientamento politico della comunità ebraica della capitale». Ma a ben guardare c'è un'altra caratteristica che spiega il sostegno massiccio degli ebrei di Roma a Shimon Peres e la loro diffidenza nei confronti di Netanyahu: e cioè la tendenza ad appoggiare il governo in carica, il governo che in quel momento rappresenta Israele. Anche per questo la comunità, che si dice di sinistra, negli Anni Ottanta poteva schierarsi con il falco Menachem Begin. Dice il vicepresidente della comunità, Franco Pavoncello: «Molti di noi sono per Peres anche perché sono a favore dell'establishment. Natanyahu, invece, rappresenta un percorso nuovo, un'incognita». E il rabbino Toaff, poco prima della chiusura dei seggi: «Ogni novità per noi è un grosso punto interrogativo». Andrea di Robilant Il rabbino capo di Roma Toaff

Luoghi citati: Auschwitz, Bar Totò, Israele, Roma