L'amarezza di Leah Rabin

Dal carcere il leader carismatico degli ultra impone la tregua LO SFOGO DELLA VEDOVA L'amarene! di Leah Rabin «Purché non vinca Igal, l'assassino» TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Alle nove di mattina, nel carcere di Ohaley Kedar presso Beer Sheba, un cancello ha cigolato e in una saletta appartata è stato fatto entrare il detenuto Igal Amir. L'estremista ebreo condannato all'ergastolo e ad ulteriori sei anni di carcere per aver ucciso, il 4 novembre 1995, il premier Yitzhak Rabin - un delitto che ha provocato un vero terremoto nella politica israeliana - è stato messo così in condizione di esercitare il suo diritto democratico e di scegliere fra la candidatura di Shimon Peres e quella del leader delle destre Benjamin Netanyahu. «Sono sconvolta e scandalizzata, non riesco a darmi pace», dice la vedova di Rabin, Leah, all'uscita di un seggio di Ramat Aviv, presso Tel Aviv. «Come è possibile che a un essere così scarsamente umano sia concesso di votare, dopo che ha osato uccidere una persona così splendida come Yitzhak?» La risposta è che i legislatori israeliani non avevano assolutamente previsto la possibilità di un delitto politico così efferato. La cittadinanza israeliana e il diritto di voto sono negati solo a chi si sia macchiato di alto tradimento: che l'uccisione di un primo ministro rientri in questa categoria non è del tutto ovvio. «Se la legge è dalla parte di Amir - ha detto martedì il premier Shimon Peres, senza mezzi termini - si tratta di una legge carente». Per impedire il voto di Amir un'israeliana era ricorsa alcune settimane fa fino alla Corte Suprema. Ma i giudici avevano allargato le braccia, impotenti: anche gli abbietti - hanno ricordato - hanno il diritto di voto. Quest'anno, nelle carceri israeliane, i reclusi votanti erano cinquemila. Un bruciante sentimento di oltraggio è diffuso fra molti israeliani. Ancora ieri sulle pagine dei giornali sono apparsi grandi annunci a pagamento che mostravano la fotografia di un Amir sereno e sorridente. Un annuncio diceva: «Cancelliamogli quel sorriso dal volto...». Un altro assicurava, a lettere cubitali: «Non gli permetteremo di vincere». Intanto il detenuto Amir ha però già vinto la sua battaglia personale. Di prima mattina cinque secondini gli hanno incatenato le gambe e lo hanno condotto fino alla saletta allestita per il voto dei detenuti, che in quel momento era deserta. «Non abbiamo preso rischi - ha detto alla stampa il direttore del carcere - il voto di Amir è stato preparato a tavolino come un'operazione militare». Al detenuto è stato così ordinato di andare a votare dietro una tenda, mentre le guardie presidiavano armate la porta e la finestra della saletta. Dopo di che Amir è stato ricondotto in cella e sono iniziate le operazioni di voto per gli altri detenuti, ammessi nella saletta a piccoli gruppi. Per Leah Rabin la giornata elettorale è stata molto triste. «E' la prima volta che voto da sola, senza Yitzhak», ha spie¬ gato. E ha aggiunto, con le lacrime agli occhi: «Se non vinceremo noi, avrà vinto l'assassino. E noi non vogliamo che vinca lui». Ma a sei mesi dall'uccisione il ricordo di Rabin è ancora palpitante: molte centinaia di israeliani, forse migliaia, prima di recarsi alle urne sono andati ieri a rendere omaggio allo statista ucciso perché voleva la pace visitan do la sua tomba sul monte Herzl a Gerusalemme, [a. b.] Il killer dell'ex premier ha votato in prigione, come vuole la legge. La signora: «Sono sconvolta, scandalizzata. Come è possibile che ne abbia diritto?» Sopra, Leah Rabin, vedova dell'ex primo ministro, e Igal Amir, il killer. A destra, il premier Shimon Peres mentre depone la scheda nell'urna. A sinistra, la tomba di Rabin, anche ieri meta di pellegrinaggio

Luoghi citati: Gerusalemme, Tel Aviv