A Tirana dopo la vittoria il pestaggio degli sconfitti di Giuseppe Zaccaria

A Tirana dopo la vittoria il pestaggio degli sconfitti Decine di feriti e di arresti durante la manifestazione (vietata dal governo) degli oppositori A Tirana dopo la vittoria il pestaggio degli sconfitti TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Alle 12 in punto, mentre neppure le nuvole sfuggivano al controllo della maggioranza (sulla città si stava abbattendo un acquazzone funzionale all'ordine pubblico), quattro o cinquecento samurai della democrazia sono apparsi all'improvviso tra la fontana di piazza Scandenberg e quello che un tempo si chiamava Palazzo della cultura. Il ministero degli Interni aveva avvertito: non autorizzeremo alcuna manifestazione. Le strade del centro erano bloccate da ore, anche intorno alla capitale autobus che arrivavano da Valona o Scutari erano stati rispediti indietro. Chi avesse voluto protestare contro il regime di Berisha sapeva di andare incontro al massacro. Lo ha fatto perché quel che stava per succedere restasse nelle immagini delle tv di mezzo mondo, tutte schierate sulla terrazza panoramica di un albergo vicino. Adesso bisognerebbe capire se quelle immagini vi siano arrivate. Ci sono <(problemi tecnici» alla tv di Tirana, da ieri pomeriggio le emittenti straniere che hanno documentato cariche, pestaggi e arresti faticano a trasmettere. Domani è probabile che l'attenzione dei «media» sarà catturata da altri avvenimenti: meglio dunque raccontarla, quella scena. Se non altro, servirà come base quando si tratterà di comprendere il «dopo». Erano appena apparsi intorno alla fontana, quei kamikaze di opposizione, ed avevano spiegato qualche bandiera rossa (nel senso del vessillo nazionale albanese, ornato da un'aquila bicefala in versione denutrita) quando a coprire il primo «abbasso la dittatura» sono giunte le sirene della polizia. Intervento immediato e durissimo: pullmini che attraversavano la folla per dividerla, mentre altri mezzi improvvisavano un rodeo circondando i manifestanti per gruppi e spingendoli verso i reparti antisommossa, che intanto scendevano in fretta dai camion. Sui piccoli nuclei così se- parati hanno cominciato ad abbattersi i manganelli e gli scarponi dei poliziotti. Uomini e ragazzi massacrati di colpi, donne calpestate, persone urlanti che correvano coperte di sangue verso «l'albergo dei giornalisti» quasi chiedendo asilo, e respinti da agenti in borghese. E' durato poco più di un quarto d'ora, quel massacro, e il bilancio parla di decine di feriti e arrestati. In pratica, tutti i leader dell'opposizione hanno avvertito sulle proprie ossa il peso della democrazia. Colpiti o contusi sono i due vicepresidenti dei socialisti, Namik Dokle e Srvet Pallumbi, il presidente dei socialdemocratici, Skenser Gjinushi, più un nutrito numero di ex deputati. I nuclei antiguerriglia sono arrivati fino alla sede dei socialisti, poco lontano: gli attivisti vi si erano asserragliati, ci sono stati altri incidenti. Voci incontrollabili parlavano di duri scontri anche a Valona. Mentre fuori la caccia al manifestante si stava esaurendo, nell'albergo è riparata stravolta e piangente una donna che si teneva un braccio e, incontrandomi, si è bloccata. «Ha visto? Ora crede a quello che le dicevamo?». Era Aita Dade, uno degli ex deputati che l'altro giorno, nella sede dei socialisti, parlavano dei brogli e del «nuovo Pinochet». Poco più in là Srvet Pallumbi, la camicia macchiata di sangue, è stato interpellato da un giornalista della Reuter che gli ha chiesto: come va? «Non lo vede? Benissimo...». In una conferenza stampa le opposizioni avrebbero denunciato ancora le violenze ponendo una domanda: è giusto che l'Albania venga considerata dall'Europa come una coltura in provetta, un luogo dove osservare con distacco sussulti e involuzioni della democrazia balcanica? Qualcuno risponde di no. Il Consiglio d'Europa, unica istituzione di cui l'Albania faccia parte, fa sapere che è troppo presto per prendere posizione: bisogna avere «una visione d'assieme». Attende informazioni anche il nostro ministro degli Esteri, Lamberto Dini. Ma attraverso Fassino il pds già preme perché, attraverso una riduzione degli aiuti economici, si ottenga da Berisha un maggior rispetto della democrazia. L'Osce aspetta i rapporti dei suoi osservatori. Ma fra questi ultimi, dieci o undici hamio già preso posizione. «Parlo a titolo personale - diceva ieri uno di loro, Paul Kitch, inglese - ma penso sia impossibile restare equidistanti dopo quel che abbiamo visto. Non ho mai assistito a nulla di simile, sono scioccato e disgustato dalle frodi organizzate dal partito di Berisha. Dopo le violenze di questa mattina si è toccato il fondo». C'è un comunicato di denuncia a cui le firme continuano ad aggiungersi. Anche il regime, beninteso, ha qualcosa da denunciare. Prima degli incidenti, ieri, era straordinario scorrere le pagine di «RD», ovvero «Rinascita Democratica», altro giornale di regime. Serie di titoloni sul trionfo di Berisha e poi un'intera pagina dedicata alle «kronike akteva kriminalitate grupeva Ps». Ne hanno compiute di attività criminali, i socialisti: hanno ferito un presidente di seggio a Propoja, cercato di appiccare del fuoco a Valona, incitato alla rivolta attraverso un certo Theodori Shija, minacciato a mano armata in quel di Lushnjes, rubato un timbro nel seggio di Rreshen. A Valona uno dei leader locali ha perfino indossato un «antiplumb», ovvero un giubbetto antiproiettile. Nell'albergo tramutatosi in asilo degli oppositori intanto era giunto anche Azem Hajdari, importante esponente della maggioranza nonché compaesano del Presidente. Si è guardato in giro e ha sentenziato: «Costoro sono soltanto terroristi che non riconoscono le leggi dello Stato», tutto qui. Gli esperimenti sulla democrazia in provetta possono continuare. Giuseppe Zaccaria Malmenati dalla polteia i dirigenti dei partiti socialista e socialdemocratico, donne e ragazzi Undici osservatori stranieri: «Elezioni truffa» Drammatiche immagini della repressione ieri a Tirana della protesta organizzata dall'opposizione dopo la contestata vittoria del partito di Berisha (foto piccola)

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