Sodano: basta tv spazzatura di Maria Grazia Bruzzone

LUNEDÌ 1 tttl «In azienda c'è gente che continua a puntare tutto sui talk show usa e getta e varietà a tutto campo» Sodano: basta tv spazzatura «La Rai è rachitica, torni a produrre» IL MANAGER DIMISSIONARIO ALL'ATTACCO ROMA I sono costate molto, quelle dimissioni. Ma sono pronto a rinunciarvi solo a condizione che il consiglio di amministrazione non solo arrivi a un chiarimento, ma confermi la scelta strategica fatta lo scorso anno a favore della produzione televisiva». Giampaolo Sodano alle 10 di sera è ancora nel suo ufficio al settimo piano da dove sovrintende all'acquisto e produzione di «storie» dell'intera Rai. In procinto di partire per Los Angeles, dove lo aspettano gli screenings dei telefilm della prossima stagione e l'inaugurazione del Roberto Rossellini Theater, la sala che la Rai ha aiutato ad aprire presso l'Istituto italiano di cultura per divulgare, nel cuore di Hollywood, «quel poco di cinema italiano che, malgrado tutto, si continua ancora a l'are». E Sodano, prima di partire, vuol rintuzzare le accuse che lo hanno portato a gettare la spugna. Denunciare «una situazione giunta al culmine», difendere la sua «dignità di professionista»: «Perché io non ho beni al sole né famiglie alle spalle, e l'unica mia risorsa sono i rapporti di fiducia con i produttori italiani e soprattutto stranieri. E non posso accettare di metterli in gioco». Chi li ha messi in gioco? «Bè, quando, dopo aver avviato una serie di produzioni, aver preso contatti internazionali per costruire i pacchetti, aver speso soldi, il direttore di Raiuno improvvisi'.inente dice di aver cambiato idea..». E perché lo avrebbe fatto? «Perché la Rai è invecchiata, e i cambiamenti vengono digeriti male. Se poi si aggiunge il clima di transizione in cui tutti siamo immersi...». Meglio non compromettersi con vecchie scelte, e tagliare i ponti col passato?! «In un certo senso, c'è anche questo». Tutta colpa di Brando Giordani e di Aldo Materia. «Materia si è aggiunto dopo. Ma non ne farei un caso personale. Ma certo sono deluso per le resistenze che mi hanno accompa- gnato da quando, un anno fa, si è deciso di intraprendere questa strada nuova». Quale strada? «La strada del rilancio produttivo, di una ristrutturazione della Rai più adeguata ai tempi. Una delibera del consiglio creò la mia struttura con lo scopo di garantire una gestione unitaria alla produ¬ zione delle reti». Un potere enorme entrato in collisione con quello delle reti, appunto. «Una strategia, piuttosto, che ha trovato resistenze nella vecchia azienda, che non vuol mollare le sue certezze: i suoi talk show usa e getta, i suoi varietà a tutto campo. In ogni caso, mica ero io a de- cidere. Il mio compito era solo quello di coordinare e razionalizzare le proposte delle reti, di renderle fattibili, ottimizzando le risorse. Non a caso sotto di me non ho nessuno. E le linee le aveva indicate il cda». Vale a dire? «Si era riconosciuto che, accanto all'informazione, accanto al va- rietà, c'è la produzione industriale: ci sono i cartoni animati, i documentari, i telefilm. Insomma, un'inversione di tendenza per noi, che siamo i più rachitici d'Europa». Rachitici? «Sì. Da un punto di vista produttivo l'Italia soffre di rachitismo. Basta dire che solo nei prodotti per ragazzi la Francia realizza il 27%, la Spagna il 23 e così la Gran Bretagna e la Germania che, tra l'altro, ormai arriva da sola a realizzare mille ore l'anno di serie. Noi il 5%». E si parla di colonizzazione. «Mentre siamo noi ad andare a comprare all'estero». Mediaset però produce poco. «Per ora sì. Ma sono pronto a scommettere che presto non potranno farne a meno. La produzione industriale non solo è una gran risorsa per i broadcasters, ma è indispensabile in vista delle reti tematiche di domani». L'accusano di aver favorito la concorrenza lasciandole il campo libero proprio negli acquisti. «Purtroppo le esclusive che si sono conquistati in passato pesano. La Rai è sempre il solito elefante burocratico, purtroppo. E questo non giova. Ma l'anno scorso il 70% del'mio budget l'ho impegnato negli acquisti». Dei suoi cinquecento miliardi. Mica due lire. «Solo metà dei quali destinati alla produzione, da spartire, come ho detto, tra vari generi. Secondo le linee del cda che aveva privilegiato documentari e tv per ragazzi, sulle serie e i telefilm». Una miseria, allora. Ma abbastanza da suscitare gelosie. «Come ho detto, la Rai invecchia, purtroppo. Non a caso la polemica maggiore si è aperta con un direttore di rete sulle soglie della pensione». Come la svecchierebbe, la Rai? Con un cda di giovani manager? ((Assumendo nuovi dirigenti per i programmi, prendendoli dalle università, dalle aziende. Non lo si fa da secoli, mentre l'informazione si è rinnovata». Magari anche con consiglieri competenti in materia? «Non è indispensabile. Basta che siano pochi, meglio ancora uno solo. E basta non confondere gli amministratori con i dirigenti. Una tentazione ricorrente. Non dimentichiamo che la lottizzazione è nata prima dentro la Rai che tra i politici». Con Bernabei. «Esatto. Che almeno però aveva un suo grande progetto». Se ne andrà dalla Rai? «Spero proprio di no, dopo 35 anni. Dipenderà dalle scelte che verranno attuate. In ogni caso, le cose stanno cambiando rapidamente». In che direzione? «L'Italia dovrà presto pronunciarsi sulla direttiva dell'Ue sulle quote da riservare ai prodotti europei. E l'associazione dei produttori di tv sta per proporre una legge per il sostegno dell'industria nazionale. Altra assistenza dallo Stato? «Niente affatto. Quel che si propone è una sorta di agenzia che gestisca un fondo di garanzia. Il sistema che finanzia se stesso, dentro il mercato. Perché quel che bisogna cominciare a capire è che la qualità può nascere solo dalla quantità». Un bello slogan. Ma dica, non crede che nelle critiche verso di lei abbia pesato anche, diciamo così, il suo passato di socialista? Che la si voglia far fuori per far posto a un cattolico come Melodia? «Può essere. D'altra parte io sono di quelli che non rinnegano niente. Avevo un partito, me l'hanno cancellato. Ora non ne ho un altro, non ho niente altro che la mia professione». Maria Grazia Bruzzone «II servizio pubblico è invecchiato, il nuovo è digerito male» Da sinistra: Giampaolo Sodano e Brando Giordani

Persone citate: Aldo Materia, Bernabei, Brando Giordani, Giampaolo Sodano, Melodia, Roberto Rossellini

Luoghi citati: Europa, Francia, Germania, Gran Bretagna, Hollywood, Italia, Los Angeles, Roma, Spagna