Berlusconi cambia strategia «Non farò il generale Custer»

Berlusconi cambia strategia «Non farò il generale Custer» Berlusconi cambia strategia «Non farò il generale Custer» LA SVOLTA DEL CAVALIERE ROMA OVREBBE essere il giorno della «Smentita» con la S maiuscola. Il giorno in cui Silvio Berlusconi dovrebbe dimostrare agli increduli - amici e nemici - che i panni dell'Oppositore gli calzano, magari non gli vanno a pennello, ma comunque non sono troppo larghi. L'assemblea di tutti i parlamentari forzitalisti è stata convocata apposta. Già dalla mattinata, però, nell'aria si percepiscono piccoli segnali che vanno in senso contrario. Dettagli, certo. Come le parole usate da Berlusconi e Gianni Letta rispondendo ad un suonatore ambulante nei pressi di piazza Navona. L'omino con la fisarmonica promette di far sentire al leader di Forza Italia una bella canzone, «quando i comunisti cadranno». Ma la coppia alza gli occhi al cielo e commenta: «E quelli quando se ne vanno!». Forte di questa convinzione il Cavaliere sembra interessato ad un'opposizione molto trattativista, con l'occhio rivolto a Massimo D'Alema. Già, si respira quest'aria dalle parti di via dell'Anima, perché Berlusconi, come spiegherà più tardi lui stesso ai suoi, non intende fare la fine del generale Custer (e chi ha orecchie per intendere, vedi Gianfranco Fini, intenda). Ma non sembrano spirare venti diversi nemmeno a Montecitorio, dove si parla della Costituente, perché i forzitalisti non sanno ancora che il loro capo di lì a qualche ora si rimangerà a metà anche questa proposta. Giuliano Urbani è perplesso. «Finora - spiega - ho sentito solo... rumori, non ipotesi meditate, ma rumori per rompere il silenzio... del resto, l'uomo è assediato». L'ora della riunione si avvicina. Silvio Liotta sale le scale, veloce veloce. «Sentiamo che cosa dirà, anche se spesso poi lui fa il contrario di quello che dice», spiega ridendo. Enzo Savarese, invece, sembra non avere nemmeno la forza di muoversi: «Che governo democristiano è questo - sbuffa - e noi facciamo la parte del pei: opposizione e consociazione». Al primo piano di Montecitorio, nella Sala della Regina comincia ad arrivare gente. Antonio Martino annuncia: «Tanto la Costituente non si farà». Lucio Colletti è altrettanto scettico e ironizza: «Che volete che tiri fuori, già è tanto se non tirano "dentro" lui!». E il «lui» in que- stione giunge in ritardo, con il sorriso che questa volta fatica a farsi strada. Finalmente si inizia. Berlusconi parla. E viene applaudito, ma anche contestato. Per esempio quando spiega: «Sulla Costituente ci sono tanti "se" e tanti "ma". Il nostro scopo definitivo sono però le riforme. Il mezzo per averle, assemblea costituente o commissione o altro ancora, è qualcosa su cui siamo disposti a discutere. Che si riparta almeno dalla bozza Maccanico. La Costituente, comunque, potrebbe dare buoni frutti dal punto di vista tattico perché potrebbe avere un risul¬ tato diverso da quello del Parlamento e mettere in difficoltà il governo». Il fatto che Berlusconi sia così disponibile a fare tre passi indietro non va giù a Taradash, che gli risponde duramente: «La Costituente - sbotta il deputato forzitalista - poteva essere tenuta in piedi per tre settimane... ma non per tre ore come hai fatto tu». Il Cavaliere spiega anche che tipo d'opposizione vuole fare: «alternativa e non selvaggia». E aggiunge: «Non credo di dover proseguire sulla strada battuta fino ad ora. E' una strada che ci ha fatto perdere la presidenza del Senato. La politica del generale Custer è sbagliata». Come a dire: caro Fini, non ti seguo più. Nella platea serpeggia la delusione tra chi vorrebbe una via di mezzo tra l'«inciucio» con D'Alema e la linea di An. Qualche parola anche sul partito. «Non stracciamoci le vesti esorta il capo - e ricordiamoci che nella campagna elettorale avevamo tutte le istituzioni contro di noi. Vi ricordate gli interventi del Presidente della Repubblica? Comunque è vero prosegue Berlusconi - che in troppi casi nel movimento la qualità delle persone non è adeguata alle responsabilità che ricoprono». Perciò occorre fare un congresso nel '97 e organizzare Fi, ma il Cavaliere è vago sull'argomento, se si eccettua l'insistenza manageriale con cui decanta le virtù dell'Internet forzitalista che dovrebbe collegare tutti i club. Ah, c'è pure il problema dei soldi: i parlamentari dovranno dare il dieci per cento della loro indennità perché in cassa ci sono poche lire, tanto che Berlusconi ha dovuto rinunciare agli «spot di ringraziamento» per gli elettori. Immancabile, la parentesi giudiziaria: «Vi giuro, vi dò la mia parola d'onore che io non c'entro niente con quelle inchieste», dice il Cavaliere. E alla fine? Tanti applausi ma anche tanti sguardi perplessi. E Vittorio Sgarbi riassume la riunione: «E' stata - dice - l'assemblea del "nonsense"». Maria Teresa Meli «Quelle inchieste dei giudici? Vi dò la mia parola d'onore che non c'entro assolutamente» Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi

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