«Il dramma del popolo tra fascisti e partigiani»

«Il dramma del popolo tra fascisti e partigiani» LA MORTE DI DE FELICE «La guerra civile 1943-45»: in anteprima un capitolo dal tomo incompiuto della monumentale opera sul duce «Il dramma del popolo tra fascisti e partigiani» w| L fascismo repubblicano e | il movimento partigiano | nacquero autonomamenI te l'uno dall'altro ad ope* I ra di piccoli gruppi spontanei, in genere o fortemente motivati, ma spesso disomogenei tra loro quanto alle prospettive, o costituiti da elementi che non di rado fecero le proprie scelte di campo in modo che non è esagerato definire casuale: in forza di circostanze, di rapporti personali, di influenze ambientali (anche solo occasionali), di stati d'animo che oggi possono apparire incomprensibili, ma che si capiscono bene appena si pensi allo sfascio morale e materiale, alle frustrazioni, alla confusione di idee, di sentimenti e di suggestioni culturali provocati dal dramma dell'8 settembre e al desiderio di reagirvi, avvertito, sia pure altrettanto confusamente, da un certo numero di italiani. Per non dire di coloro per i quali una scelta di campo, qualsiasi essa fosse, costituiva un modo 'per sentirsi «qualcuno» e per risolvere in questi drammatici frangenti i propri problemi di vita. La riapparizione sulla scena di Mussolini per un verso, gli appelli del governo Badoglio e quelli dei partiti antifascisti e del Cln centrale per un altro ebbero sul loro sviluppo un peso notevole e influenzarono se non determinarono addirittura molte scelte, diciamo così, più meditate. Non ne determinarono però la nascita che fu spesso precedente e in larga misura indipendente da essi. Né, infine, se si vuol capire la realtà nella quale si trovarono a dover agire, si può trascurare il fatto che entrambi - lo abbiamo già accennato, ma è bene ribadirlo - nacquero in un ambiente che in larga misura era caratterizzato nei loro confronti da uno stato d'animo in cui ciò che prevaleva era l'estraneità, il timore, talvolta l'ostilità e che faceva poca differenza tra di loro e non di rado anche tra gli anglo-americani e i tedeschi. Poiché i più non riuscivano a capire come, in quei frangenti, fosse possibile voler ancora continuare a combattere e avevano paura di dover pagare le spese di una lotta alla quale si sentivano estranei. Una lotta - anche a questo proposito è necessario essere chiari - che larghi settori della popolazione (usiamo questo termine perché le diversità di condizione sociale, pur avendo una loro influenza, non ebbero un valore effettivamente discriminante, anche se, con l'andar del tempo furono la borghesia i ceti benestanti a dimostrarsi i più passivi, un po' per formazione culturale, un po' per timore di dover «pagare» per i loro passati rapporti col regime, un po' per non correre il rischio di perdere i loro beni) avrebbero continuato a lungo a non sentire come propria, che per molti, come ha giustamente notato Gian Enrico Rusconi, «il mancato consenso al fascismo repubblichino non era ancora consenso all'azione partigiana, tantomeno alla sua progettualità radical-democratica o socialista»; non di rado persino quando, un po' per necessità un po' per opportunità (tipico è il caso di non pochi di coloro che si sarebbero trovati a vivere nelle cosiddette «repubbliche partigiane»), avrebbero finito per prendere posizione per una parte o per l'altra. Ciò aiuta a capire (che le spinte a questo «prender posizione» furono molteplici e la «scelta» non fu solo a favore della resistenza, anche se fu questa che indubbiamente più ne beneficiò) perché sino ai primi mesi del 1945 - quando fu chiaro che il crollo tedesco e della Rsi e la fine della guerra erano imminenti continuarono a verificarsi oscillazioni e persino casi di passaggi da un campo all'altro. E aiuta a capire anche tante «metamorfosi» degli ultimi giorni, il gonfiarsi a dismisura delle file partigiane e il trasformarsi in «rossi» di tanti sino a pochi giorni prima «neri»; conversioni in parte certamente opportunistiche, in parte però a modo loro «sincere» e conseguenza un po' della confusione di idee che per tanti aveva caratterizzato quel tragico biennio, molto più del desiderio di sopravvivere, sino a vestile, quando non era possibile o troppo rischioso defilarsi, i panni di chi di volta in volta era il più forte e, dunque, il più pericoloso. In numerose località, soprat- tutto del Nord, dove il fascismo aveva la sua base più dura, e in particolare nella Venezia Giulia e nel Veneto, dove agiva anche il timore che i partigiani di Tito potessero cogliere l'occasione per penetrare in profondità, la ricostituzione del partito fascista avvenne quasi immediatamente dopo la notizia della conclusione dell'armistizio; in genere, senza bisogno di pressioni tedesche e ad opera di piccoli gruppi di fascisti, soprattutto vecchi squadristi e un certo numero di giovanissimi, che si riunirono, riaprirono le vecchie sedi del Pnf e dettero vita a comitati d'azione e a organi direttivi provvisori (di solito triumvirati o quadrumvirati) che in qualche caso procedettero, di propria iniziativa o d'accordo con i comandi militari tedeschi in loco, alla nomina delle autorità civili locali, prefetti, podestà, ecc., e alla pubblicazione di propri organi di stampa. Nelle regioni occidentali e centrali, a Milano e a Roma la particolare situazione locale e - specialmente nella capitale - una serie di condizionamenti «esterni» fecero sì che la ricostituzione fosse invece più lenta e contrastata. Come già ha osservato Bocca, una cosa si può comunque affermare: in tutte le I località «la riapparizione fascista nelle province è spontanea e certamente non opportunista: sono giorni in cui tutti attendono altri e dc^sivi sbarchi alleati a Ravenna e in Liguria, le previsioni generali sono che entro qualche settimana o mese la guerra sarà finita in Italia, eppure i disperati del fascismo, i vecchi squadristi si muovono anche senza Mussolini». Limitarsi a questa constatazione non è però sufficiente. Basta infatti approfondire un po' la vicenda dei primi mesi della Rsi per rendersi conto che se l'apporto del vecchio squadrismo, e in particolare di quella sua parte più estremista e violenta che negli anni del regime era stata largamente emarginata dal partito (talvolta addirittura espulsa per le sue intemperanze, la sua indisciplina, le sue violenze), allontanata dagli incarichi ricoperti nei primi tempi, ridotta in piccoli posti «di sopravvivenza», fu decisivo nella primissima fase della ricostituzione del partito, nei mesi successivi il nerbo del Pfr. (a metà novembre, secondo i dati, forse un po' arrotondati, ma assai vicini al vero, forniti da Pavolini al congresso di Verona, gli iscritti sarebbero stati circa 250 mila, per salire a fine febbraio del 1944, secondo i dati fomiti sem¬ pre da Pavolini in occasione della prima riunione del direttorio del Pfr. tenutasi a Brescia all'inizio del marzo, a circa 487 mila) sarebbe stato però costituito da giovani e da giovanissimi, che non avevano fatto l'esperienza squadrista e che nulla avevano in comune con i «fascisti insipidi del ventennio» (la definizione è di Giorgio Pini) che, come Gaetano Bagalà scrisse a Mussolini appena saputo della sua liberazione, si erano iscritti al Pnf «per avere la tessera a fini utilitari» e che adesso, «psicologicamente smarriti e impauriti», sfuggivano ogni impegno politico e, salvo pochissime eccezioni, si guardavano bene dall'aderire al Pfr. Tanto che non è esagerato dire che proprio a questi giovani e giovanissimi (tra i c[uali vi erano anche non poche donne), che del regime liberale non sapevano spesso nulla e, se ne sapevano qualcosa, erano gli aspetti meno positivi e meno esaltanti e consideravano quello socialcomunista come l'avvento di un egualitarismo opprimente e deprimente, bisogna rifarsi per cogliere, nel bene come nel male, il profilo umano di larga parte del fascismo repubblicano e ancor più della Repubblica sociale. Renzo De Felice «Larghi settori della popolazione non sentirono quella lotta come propria» «Ipiù non riuscivano a capire come fosse possibile voler ancora combattere» mi Qui accanto, un gruppo di militari della Repubblica di Salò; in alto, a destra un distaccamento partigiano in perlustrazione

Luoghi citati: Brescia, Italia, Liguria, Milano, Ravenna, Roma, Salò, Veneto, Venezia Giulia, Verona