E negli ideologici Anni 70 prove generali di linciaggio di Indro Montanelli

E negli ideologici Anni 70 prove generali di linciaggio Il «sospetto» E negli ideologici Anni 70 prove generali di linciaggio N EL 1975 fu Indro Montanelli a chiamare una delle firme più prestigiose della terza pagina del suo Giornale, lo storico Rosario Romeo, per rispondere a quello che definiva (e questo fu il concetto usato nella titolazione dell'articolo) «il linciaggio di De Felice». Raccogliendo e condensando in un volumetto di agevole lettura le posizioni sul fascismo che De Felice andava diluendo nei tomi della biografia mussoliniana, l'intervista pubblicata da Laterza aveva infatti suscitato un pandemonio di polemiche. L'analisi defeliciana sulla differenza tra «fascismo-regime» e «fascismo-movimento» e soprattutto sul consenso di massa al regime di Mussolini innescò infatti un vero e proprio fuoco di sbarramento contro lo storico accusato di voler «riabilitare» il fascismo o comunque di suggerire un'interpretazione del Ventennio molto distante dai canoni politico-storiografici dominanti. Da qui i violenti attacchi di Nicola Tranfaglia, Paolo Alatri, Enzo Collotti, Guido Quazza e Giorgio Rochat. E anche, sia pur con toni più misurati, le critiche di Leo Valiani. Nei giornali della sinistra De Felice diventò in breve tempo lo storico Nemico, addirittura sospettato di voler insinuare, attraverso il pretesto storiografico, le coordinate di un'operazione politica che avrebbe avuto come scopo la rottura della cultura che dava alimento e legittimità all'«arco costituzionale». Pochi, nella sinistra, si dissociarono dalla controffensiva della storiografia che l'anno scorso, a vent'anni da quelle polemiche, lo stesso De Felice ha ribattezzato «vulgata antifascista». Tra questi Luigi Firpo e soprattutto Giorgio Amendola, il dirigente comunista che invitò gli storici antidefeliciani a rileggersi le analisi sul fascismo di Togliatti e che accettò di sottoporsi a un'Intervista sull'antifascismo (curata da Piero Melograni) nella stessa collana laterziana in cui era apparsa l'intervista incriminata a De Felice. Del resto, l'attività storiografica di De Felice, pur scandita da un imponente lavoro di documentazione che per forza di cose portava lo storico a non prestarsi al gioco quotidiano delle polemiche giornalistiche, si è spesso cimentata con l'ombra lunga che le vicende del fascismo e dell'antifascismo proiettano sul presente. Quando pubblica, nel '61, la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, scoppia nel mondo dei radicali italiani il «caso Piccardi» che dà notorietà extra-accademica a De Felice ma procura a uno dei leader del partito, Leopoldo Piccardi, di cui nel libro viene documentata la partecipazione a un convegno sulla «difesa della razza», la rottura con il Mondo di Pannunzio (malgrado l'inaspettata difesa di Emesto Rossi e di Parri che darà vita all'Astrolabio). Le ultime polemiche su De Felice esplodono l'anno scorso quando lo storico, con la collaborazione di Pasquale Chessa, pubblica il Rosso e nero. Le critiche di De Felice alla «vulgata antifascista», la sua interpretazione della Resistenza e il suo giudizio su alcuni dei più controversi protagonisti della Repubblica Sociale come Junio Valerio Borghese attirano sull'autore del libro l'accusa di sostenere tesi di sapore «revisionista». De Felice viene attaccato da Tranfaglia (che pure aveva sostenuto pochi mesi prima di considerare le tesi defeliciane «abbastanza più vicine che in passato»), da Giorgio Bocca, da Silvio Lanaro, da Pietro Scoppola. Anche Giovanni De Luna rimprovera a De Felice quelle che ritiene le «esplicite assonanze politiche» con il centro-destra e Marco Revelli individua nel lavoro di De Felice addirittura un'«ossessiva progettualità politico-ideologica» fondata sulla ricerca di «un nuovo patriottismo nazionale, al di là della contrapposizione fascismo/antifascismo». Accuse cui De Felice ha puntualmente replicato fin quando le forze lo hanno sostenuto. Pierluigi Battista