Ma accertare i fatti non basta bisogna interpretarli

Ma accertare i fatti non basta bisogna interpretarli LA «STÒRIA ESATTA » Ma accertare i fatti non basta bisogna interpretarli c ONTRARIAMENTE a quel che si può pensare non ho avuto rapporti personali molti stretti con Renzo De Felice, per quanto entrambi siamo stati per anni collaboratori della casa editrice Einaudi. Il nostro incontro più lungo risale all'aprile '95, in occasione di una intervista durata un giorno intero, mattino e pomeriggio, promossa da due riviste, Reset e Panorama. Quel confronto nasceva dal fatto che negli anni precedenti c'era stata tra lui e me qualche schermaglia sulla sua interpretazione «revisionistica» del fascismo e dell'antifascismo. Data la considerazione che ho sempre avuto per la sua opera di studioso e per il contributo ineguagliabile che ha dato alla storia del fascismo attraverso la biografia di Mussolini (della quale si sono serviti ampiamente tutti gli storici italiani, anche i suoi avversari), ho sempre tenuto a distinguere un revisionismo positivo da uno negativo. Revisionismo negativo, tanto che ormai viene chiamato «negazionista», è quello che corregge la storia passata negando o occultando fatti accertati; revisionismo positivo invece è quello che corregge la storia scoprendo e accertando nuovi fatti che servono a modifi care interpretazioni precedenti. Il revisionismo di De Felice è di questo secondo tipo. Se mai, se un'obiezione può essergli mossa, non riguarda tanto il suo contributo a rivedere la nostra storia recente, quanto l'avere, con questa revisione, indubbiamente favorito una diminuzione del contrasto tra fascismo e antifascismo, da un lato cercando attenuanti al primo, dall'altro aggravanti per il secondo, con il risultato di metterli sullo stesso piano. Ma la contrapposizione tra fascismo e antifascismo a mio giudizio è tuttora il fondamento di legittimazione della nostra democrazia, che lo stesso De Felice non ha mai rinnegato. Gli appunti che gli ho rivolto hanno riguardato più questioni metodologiche che non questioni di contenuto. E questo soprattutto nella recensione che ho scritto per La Stampa del 4 settembre '95 a proposito del suo libro-intervista con Pasquale Chessa Rosso e nero. Qui De Felice svolge una polemica continua - e persino un po' fastidiosa per la sua ripetitività - contro tutta la storiografia precedente, che egli chiama sprezzantemente «vulgata», caratterizzata a suo dire da una forte connotazione ideologi- ca. A questa vulgata contrappone la storiografia scientifica, fondata esclusivamente sull'accertamento dei fatti. Ma esiste una storiografia scientifica? A quale tipo di scienza appartiene la storia? Dalla netta contrapposizione fra storiografia scientifica e vulgata, su cui De Felice insiste, sembrerebbe quasi che la storia sia una scienza esatta. Esatta perché si fonda esclusivamente sui fatti e rifiuta di dare giudizi di valore. Non è certo ora il caso di accennare alle infinite dispute sulla natura della storia come scienza. Propenderei a condividere la tesi di coloro che la considerano appartenente alla categoria dell'ermeneutica, vale a dire a quella forma di conoscenza che si fonda su procedimenti prevalentemente interpretativi piuttosto che sulla analisi obiettiva della realtà. D'accordo, lo storico deve fondare la propria ricerca sull'accertamento dei fatti. Ma non tutti i fatti sono ugualmente rilevanti. Ora, il criterio per distinguere fatti rilevanti da fatti non rilevanti non si fonda su un altro fatto: si fonda sul fine che lo storico si propone con quella ricerca, fine che è ispirato, seppure lo storico non ne è consapevole, a giudizi di valore. Per fare un esempio, anche in Rosso e nero riappare l'accesa controversia sulla consistenza numerica dei partigiani. Ma ciò che conta non è l'esatto numero dei combattenti, più o meno grande; storicamente rilevante è che un esercito di liberazione si sia formato anche in Italia, dove il fascismo ha dominato per anni. E poi non basta distinguere i fatti rilevanti da quelli non rilevanti. I fatti debbono essere interpretati, e le interpretazioni possono essere le più diverse, a seconda dei giudizi di valore presupposti. Se davvero la storia fosse una scienza, come De Felice sostiene, non si spiegherebbe perché non c'è episodio storico, ricostruito sui medesimi fatti, che non abbia avuto infinite interpretazioni diverse. Quanto è avvenuto in questi anni e continua a avvenire, rispetto al contrasto tra le varie interpretazioni del fascismo, dell'antifascismo e del passaggio dall'uno all'altro, è avvenuto rispetto agli altri grandi accadimenti storici di cui si continua a discutere. Tanto la Rivoluzione francese quanto il Risorgimento per fare due esempi familiari - sono stati, e continuano a essere, oggetto di interpretazioni contrastanti. La replica a queste mie osservazioni si è fatta attendere alcuni mesi, perché - e io lo ignoravo - le condizioni di saluto di De Felice si erano aggravate. Quando ha risposto, due mesi fa, mi è parso che non avesse dato molta importanza alle mie obiezioni. Credo di non fargli torto se ribadisco la mia idea che ogni grande storico ha una sua concezione personale della storia. Del resto lo stesso De Felice parla di una concezione etico-politica, che sarebbe la sua. Questa visione etico-politica del movimento storico si contrappone tanto alla concezione marxistica che dà la preferenza alle strutture economiche della società rispetto alle «sovrastrutture» ideologico-politiche, quanto (per fare un altro esempio! alla concezione della storia propria di un cattolico, che non può mai prescindere, nel giudizio sugli avvenimenti, dalla presenza di una provvidenza che li trascende. Non gli faccio torto perché ritengo che De Febee sia stato uno dei nostri maggiori storici contemporanei, e nel momento in cui apprendo commosso la notizia della sua morte mi rammarico che non abbia potuto portare a termine il volume finale della sua grande opera, a cui aveva dedicato con la solita passione le ultime energie. Norberto Bobbio

Luoghi citati: Italia