De Felice l'anatomia del fascismo

Morto a 67 anni il grande studioso, mentre lavorava all'ultimo volume della biografia di Mussolini Morto a 67 anni il grande studioso, mentre lavorava all'ultimo volume della biografia di Mussolini De Felice, l'anatomia del fascismo Al centro dell'analisi la crisi morale della nazione, emersa dal 1943 e non risolta negli anni successivi Ri ENZO De Felice è mancato nel momento culminante e più critico del suo percorso di studioso, che pure è stato —I contrassegnato da frequenti e accese controversie. Per me personalmente, il dolore per la sua immatura scomparsa si accompagna al dispiacere di un mancato chiarimento su alcuni aspetti decisivi del suo punto d'arrivo. Ma De Felice rimarrà lo storico più importante e insostituibile per capire il fascismo e la figura di Mussolini. Non solo per la mole della documentazione da lui offerta ma per la qualità dei problemi che ci lascia. L'uomo e lo studioso De Felice erano assai più complessi di quanto non sono apparsi nelle recenti polemiche seguite al pamphlet Rosso e nero. All'ombra di queste polemiche, il suo ambizioso sforzo di collocare Resistenza e Repubblica sociale italiana in un quadro più generale, ih «un'unica storia dell'Italia», è sembrato ridursi ad un ridimensionamento storico e ideale della Resistenza. Così è stato letto unilateralmente da molti. Ma se fosse solo così, il senso del lavoro di De Felice rimarrebbe al di sotto delle intenzioni dell'autore. Avrebbe bruciato sull'altare di un facile successo editoriale l'impresa più impegnativa che la' storiografia contemporanea poteva fare. Il dubbio se De Felice sia davvero riuscito a porre le basi di una nuova «unica storia italiana» rimane, almeno sin tanto che non leggeremo la versione definitiva dell'ultimo tomo della biografia di Mussolùii. Il continuo rinvio della pubblicazione di questo volume, il continuo ritocco e rifacimento del manoscritto non rispondevano soltanto a scrupoli documentari. 0 alla attesa di vedere come si sarebbe sviluppato il dibattito storico e politico legato al cinquantenario della Liberazione. La ragione era più profonda: con l'ultimo volume sulla fine del fascismo De Felice allarga decisamente la sua ottica dalla personalità di Mussolini all'intera vicenda sociale politica della nazione italiana. La nazione come tale, militarmente sconfitta e moralmente distrutta, lacerata dallo scontro civile, è la prospettiva finale assunta dallo storico. Questo allargamento e approfondimento di prospettiva ha posto a De Felice problemi di metodo e di valutazione storico-politica che avevano una qualità diversa rispetto alla produzione precedente. Anche in considerazione del mutato clima politico-culturale alla fine della «prima» Repubblica. De Felice ha pensato di rispondere a questa sfida, scorporando in due tempi e in due distinti prodotti il suo contributo. Concentrando e anticipando in Rosso e nero gli aspetti più polemici e attuali e riservando al successivo volume un contributo storiograficamente più solido e pacato. Non so se questa operazione sia riuscita o non abbia invece creato equivoci. Più la preoccupazione centrale di De Felice diventava la «crisi morale della nazione» portata alla luce dal 1943 e non risolta negli anni successivi, più questa crisi morale veniva da lui proiettata sulla situazione odierna della Repubblica. I limiti dell'antifascismo storico sono fatti così corresponsabili della «mancata ricostituzione del tessuto morale della nazione». Ma, a questo punto, De Felice anziché ricostruire in modo critico e originale l'antifascismo storico fuori dalle ipoteche di quella che lui chiama la vulgata resistenziale -, anziché rivisitare il contributo effettivo dell'antifascismo per la rimessa in moto di una democrazia «che il fascismo con la sua rivoluzione aveva prima sconfitto e poi calpestato»; anziché riproporre in una nuova luce ad esempio il ruolo di due «patrioti antifascisti», da lui altamente apprezzati, come Pizzoni e De Gasperi, hi Rosso e nero sembra tutto preso dalla animosa contestazione dei luoghi comuni della storiografia antifascista. Questo approccio polemico e le reazioni da esso suscitate hanno allontanato il dibattito dal punto storiograficamente decisivo: la questione della nazione e l'atteggiamento della popolazione. Per De Felice è la popolazione la prima e principale testimone del trauma nazionale: abbandonata a se stessa, travolta dalle vicende belliche, tutta presa dalla strategia della sopravvivenza, disaffezionata dal regime fascista ma restia a mobilitarsi attivamente contro di esso. In questa ottica «maggior.caria» la guerra tra partigiani e fascisti di Salò appare una lotta tra minoranze estranee alla popolazione. E' difficile negare la correttezza di questa descrizione ma essa è insufficiente per sostenere in modo convincente che questo periodo storico sia sintetizzabile soltanto come «la morte della patria». Il fatto che De Felice imputi questa morte al fascismo («La mitologia della nazione creata da Mussolini, crollata definitivamente col 25 luglio, era minata fin dalle origini dal monopolio fascista del patriottismo...») non impedisce che lo storico la veda come una condizione definitiva, mai più rimediabile. Inspiegabilmente, mentre si preoccupa di mettere in rilievo il nazionalpatriottismo di alcuni ambienti di Salò e i suoi limiti, De Felice sottovaluta il peso e il valore «patriottico» della prima Resistenza, nata spontaneamente (anche se minoritariamente) come reazione all'8 settembre. 0 la prende in considerazione soltanto per deplorarne l'impotenza. Il riconoscimento della pluralità delle componenti resistenziali (compresa quella liberalpatriottica del già ricordato Pizzomi è fatta esclusivamente in polemica contro il monopolio ideologi- c o-politico (e storiografico) comunista e azionista. Anche questa analisi è vera. Ma, a partire dalla preoccupazione etico-politica dello storico, ci saremmo attesi di scoprire se e come la componente liberal-patriottica dell'antifascismo avesse risorse e antidoti per ridare un nuovo impulso vitale alla «patria» democratica. Avremmo voluto sentire da De Febee se oggi possiamo fare riferimento, almeno idealmente, a quelle risorse. Non basta dare la colpa a comunisti e azionisti per non essere riusciti a ricreare un nuovo autentico senso civico collettivo. Non basta sollevare legittimi dubbi sul carattere «democratico» di molto antifascismo di sinistra. Antifascismo e democrazia sono due concetti teoricamente e politicamente distinti benché storicamente collegati. Ma anche nazione e democrazia sono due concetti separati eppure storicamente collegati e sempre di nuovo collegabili. Attorno a questo complesso di problemi la riflessione storica e politica non ha esaurito il suo compito. Uno dei meriti di De Felice è stato di riproporcela con energia. Ha affermato con chiarezza il nesso necessario tra patriottismo nazionale e patriottismo costituzionale. Ciò che manca nel suo discorso è l'affermazione altrettanto esplicita che nel nostro Paese i due patriottismi sono storicamente e idealmente collegati attraverso la Resistenza. 0, quantomeno, sono ricollegabili attraverso una sua più attenta e critica rivisitazione. Non ho perso la speranza che questa posizione trovi punti di sostegno nell'ultimo lavoro ancora inedito di De Febee. Gian Enrico Rusconi BROMA ENZO De Felice è morto a Roma alle 2,15, nella notte tra venerdì e sabato, nella propria abitazione. Era nato l'8 aprile 1929 a Rieti, aveva compiuto da poco 67 anni. Il più noto storico del fascismo era malato da alcuni mesi. I funerali, ha detto la moglie Livia De Ruggiero, si svolgeranno lunedì in forma privata: dall'abitazione la salma sarà trasportata al cimitero di Prima Porta, per essere cremata. «L'Italia è privata di un insigne studioso - ha detto in un messaggio alla moglie dello storico il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro - che ha indagato la storia del nostro secolo con limpido pensiero e grande onestà intellettuale, dando lustro all'Italia». Tra quanti hanno espresso profondo cordoglio (il presidente del Consiglio Romano Prodi, i presidenti del Senato Nicola Mancino e della Camera Luciano Violante), anche Ernst Nolte, lo storico tedesco noto per le sue discusse tesi revisioniste su nazismo e fascismo e interlocutore di De Felice in molti dibattiti. «Renzo De Felice - ha detto Nolte - è stato uno dei più importanti storici europei. Come nessun altro ha saputo riunire, nel suo lavoro di studioso, il gusto del dettaglio con la grande visione d'insieme e soprattutto il coraggio di tesi impopolari». [r. e] L'ambizioso sforzo di collocare Resistenza e Repubblica sociale in un quadro più generale ha fatto discutere: un ridimensionamento dell'antifascismo? GLI ALTRI SERVIZI IN CULTURA LE POLEMICI Battaglie fra storia e politica, eli A. Papuzzi Prore generali di linciaggio, eli P. Battista A PAGINA 20 ANTEPRIMA DAL NI IOVO LIBRO il dramma del popolo tra fascisti e partigiani di Renzo Do Felice, A PAGINA 21 MGLI ALTRI SERVIZI IN CULTURA LE POLEMICI

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