« La Finanza da me voleva il Cavaliere » di Fabio Poletti

Ma Davigo minimizza: nei verbali la storia c'è, il colonnello Zuin fu arrestato per corruzione Ma Davigo minimizza: nei verbali la storia c'è, il colonnello Zuin fu arrestato per corruzione « La Finanza da me voleva il Cavaliere » Stefania Ariosto: mi promisero V immunità fiscale MILANO. Alle 17 e 48 Stefania Ariosto alza bandiera bianca. Dopo 4 ore di domande pressanti, spiegazioni, contraddizioni, pause chieste e ottenute, la contessa «Omega» del caso Squillante chiude - in anticipo di oltre un'ora - la sua seconda deposizione davanti al gip. Ma prima riserva a tutti .una piccola «sorpresa». Dice: «Nel '91, alcuni ufficiali della guardia di finanza mi promisero l'immunità fiscale se avessi fornito notizie sui fondi neri di Berlusconi e della Mondadori». Racconta di essersi confidata allora con il suo compagno Vittorio Dotti, lo stesso che fa convocare, 25 luglio '95, prima di iniziare la sua torrenziale collaborazione. Conferma di aver ricevuto rassicurazioni da lui. E di aver deciso di non parlare: «Perché io non sapevo nulla, e se anche avessi saputo qualcosa non avrei parlato. Non sono una spia, io». «Nei suoi 25 verbali non c'è accenno, a quella vicenda», commenta subito l'avvocato Gaetano Pecorella. E aggiunge: «Questa vicenda serve a chiarire perché oggi la teste fa le dichiarazioni che ha fatto. Mi chiedo perché questo risveglio di coscienza solo nel '95?». Il punto non è da poco. Ma Piercamillo Davigo minimizza: «Nei verbali la storia c'è. E' lì che si parla di Paolo Zuin, il militare delle fiamme gialle che poi abbiamo arrestato nelle prime inchieste di corruzione». Vero. Ma la storia così chiara, come la racconta ieri in aula Stefania Ariosto, ufficialmente nessuno la conosceva ancora. E poi non c'era solo il colonnello Zuin, quel giorno del '91, un anno prima di Mani pulite, tre anni prima della prima inchiesta sulle fiamme gialle corrotte. C'era anche il tenente Giancarlo Zoppini, quello che Stefania Ariosto in aula dipinge così: «So che poi andò a lavorare con il ministro Tremonti». La Guardia di Finanza replica alle accuse: «L' "immunità fiscale" di cui parla la Ariosto nessuno poteva prometterla perché - si fa notare negli ambienti del comando generale della Guardia di Finanza non è assolutamente prevista dall'ordinamento». Negli stessi ambienti, in merito alla richiesta che la Gdf avrebbe fatto alla Ariosto se era a conoscenza di notizie di reato, si sottolinea che «rientra, fra i compiti della polizia giudiziaria, anche l'acquisizione di informazioni utili da fonti confidenziali e che è legittimo venga sollecitata l'acquisizione di tali notizie». Quest'ultima richiesta, secondo quanto si è appreso, è stata sollecitata dopo la perquisizione, nel '91, di fotografie in cui la Ariosto compariva con personaggi della Fininvest e della Mondadori. Perché tanta precisione solo oggi? Perché quei ricordi che si annebbiano e la memoria che se ne va? Una risposta è ancora Stefania Ariosto a darla: «Non sono importanti le date. Sono importanti i concetti: Previti mi ha detto che pagava i giudici. Il resto sono dettagli». La dice e la ripete più volte questa frase, Stefania Ariosto. E' la sua giustificazione, la sua ancora di salvezza insieme a quei bicchie¬ ri d'acqua che beve per la gola secca, per prendere tempo, per riflettere - bene - prima di dire il suo verbo. Quel verbo che lascia perplessi gli avvocati, che non incanta Ignazio La Russa, difensore di Cesare Previti. Il legale è il primo a sparare ad alzo zero: «Stefania Ariosto non è lo spirito, non è il Verbo incarnato. La teste è palesemente falsa, mente scientificamente sapendo di mentire». Paiole pesantissime, che piovono in quest'aula con le porte chiuse, le telecamere a circuito interno accese e i giornalisti fuori dalla porta che ogni tanto - sentono le voci che si alzano, che l'atmosfera è tesa, che certo non è facile fare la testimone. Almeno così, in questa partita con la puntata più alta e gli avvocati che incalzano. Prima Nerio Diodà, poi Gaetano Pecorella. Il difensore di Renato Squillante è un tritasassi. Chiede particolari, vuol sapere di quei debiti di gioco - oltre 3 miliardi - storia recente della teste che amava i casinò e le fotogra¬ fie, quelle che adesso sono parte integrante del suo atto d'accusa. «Omega» vacilla. Chiede una sospensione per prendere fiato. Qualcuno giura che sia sul punto di piangere, ma è solo un'impressione, quando la voce si ferma, si rompe per la tensione e i discorsi si perdoiu nella confusione di parole. Ci pensano i magistrati, Piercamillo Davigo che batte il pugno sul tavolo a scendere in suo soccorso. Quasi urla: «Cosa c'entrano queste cose? Perché chiederle della sua vita privata? Deve parlare di oggi, delle sue accuse non di fatti di tanti anni fa». Il magistrato chiede di interrompere la sequenza di domande insidiose. Gli avvocati accettano, decisi a incassare anche questo punto. E il gip Rossato - che il primo giorno l'aveva richiamata a dire la verità - concede lo stop. Un bene, per lei. Dopo le contraddizioni, i non ricordo sulle sue agende in cui sono mescolati i nomi di D'Ambrosio, Greco, Colom- ho. Più quello del giudice Curtò finito in carcere, «che mi aveva dato un amico che lo aveva invitato a un convegno». In un solo punto, la Ariosto, ammette di aver sbagliato. A verbale aveva fatto mettere di aver visto alla tv che nello studio del giudice romano Mele c'era un quadro di proprietà di Previti. Un caso di corruzione? «No, mi sono macroscopicamente sbagliata, il quadro non era quello», dice. Alle 17 e 51, scorta armata alle spalle, Stefania Ariosto è libera di andarsene. L'udienza è rimandata al 30 maggio. Passo veloce, scende in cortile dove c'è la Croma blindata. Dove trova la troupe del «Tg3» che le si avvicina microfono acceso. «Sono un po' affaticata», dice. E spiega: «Non sono una pentita, sono una testimone, non ho avuto danaro da nessuno e nessuno me lo ha offerto. I miei debiti sono rimasti gli stessi e li pagherò con i miei beni». Fabio Poletti

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