Gli italianisti in tribunale

Gli italianisti in tribunale il caso. Dopo il clamoroso «divorzio» all'Università di Roma e le polemiche, scatta la querela Gli italianisti in tribunale Asor Rosa a Ferroni: paghi un miliardo di danni E ROMA valga il vero». E nella pagina dopo: «E valga il vero». E ancora: «Ma valga il vero». Chissà se ai signori della Letteratura Alberto Asor Rosa e Giulio Ferroni, professori alla Sapienza di Roma, piace il linguaggio di questa querela che porta via dall'Università la loro lite e la consegna alle carte del tribunale, al linguaggio dei legali, a premesse fatte di biografie e titoli e onori e a conclusioni toste: «Voglia l'Ili, mo Tribunale adito, contrariis rejectis, in accoglimento della domanda attorea, accertata la grave diffamazione condannare i convenuti al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi dal prof. Asor Rosa per le causali di cui in narrativa, in misura di Lit. 1.000.000.000, oltre rivalutazione ed interessi». Eccolo lì, un miliardo di danni. E' arrivata a questo traguardo la lite tra italianisti, principi dell'Università La Sapienza. Asor Rosa, alla fine di una lunga polemica, aveva lasciato il Dipartimento di Italianistica e, con un gruppo di colleghi, era andato ad accorparsi al Dipartimento diretto dal professor Tullio De Mauro. Sulla notizia si erano avidamente lanciati i mass media. E Ferroni aveva rilasciato ui. intervista al Corriere della Sera in cui attaccava il rivale (rivalità datata ben più indietro nel tempo) citando episodi che riteneva oscillanti tra scorrettezza, interesse privato, in poche parole baronia. Ferroni parlava di «gestione personalistica del dipartimento», di concezione della cultura «come occupazione di spazi di gestione, tessitura di rapporti, trame politico-istituzionali. Una cultura di lobbies e di notabili pronta a servirsi per propri fini di strutture partitiche e sindacali», di «azione intrapresa per far chiamare alla cattedra di Letteratura alla Sapienza la sua compagna Marina Zancan, ai danni di Alfredo Giuliani», come si legge nella stessa citazione. Insomma, quanto basta per scatenare una reazione dura. Ma Asor Rosa non ha scatenato questa reazione nell'Ateneo. L'ha portata in aula di giustizia (e da qui ai giornali, pubblichiamo qui accanto una parte dell'atto di citazione). Che risponde Ferroni? Poco, preferisce stare ad aspettare: «Che altro se non rimanere sorpresi? Non si può che rimanere stupefatti quando una questione accademica finisce in tribunale. Certo, lo stupore è anche amarezza. Ma, considerata la fiducia nella giustizia, stiamo a vedere. Credevo che, con la sua decisione di staccarsi, la faccenda fosse chiusa, scopro di no. Pazienza». L'Università La Sapienza si mostra elegantemente distante dalla querelle, rettore del Dipartimento di Italianistica, Amedeo Quondam, sorride tranquillo: «Non mi sembra nulla di tanto diverso dal passato remoto. Comunque c'è un'iniziativa personale, che va rispettata e considerata tale, personale appunto. La Sapienza non c'entra». Però La Sapienza va dritta nelle aule di giustizia: «Ci va un dissidio fra due persone e, come lei sa, i dissidi tra le fi di persone hanno fatto la Storia». Ma questa è una storia nata fra italianisti e finita fra ingiunzioni e linguaggi molto poco letterari. Dopo l'elenco delle benemerenze del loro assistito, scrivono gli avvocati Di Majo e Emanuele Squarcia, che tutelano Asor Rosa: «La esposizione che precede, lungi dal volere rappresentare un canto di vanagloria dell'attore, appare utile per chiarire, con immediatezza, lo spessore culturale, oggettivamente riconosciuto, dell'attore stesso, i cui meriti sono stati universalmente riconosciuti. Ciò segnatamente, in reazione alla fattispecie in oggetto...». Ed ecco, allora, l'accusa d'averlo tacciato di illegalità, con i passi che riguardano dibattiti re¬ spinti, di istituzioni considerate «proprietà personale». E' scritto" nell'atto di citazione: «Ancor più pesante è il riferimento all'espressione sua creatura, con riguardo al Dipartimento che l'attore si accingeva ad abbandonare, giacché tale espressione, se accettabile nella sua accezione bonaria e dialettale, diventa gravemente lesiva ove coniugata all'espressione proprietà personale, riferita a una istituzione dello Stato». Fino a una disquisizione sull'aggettivo triste, «nel quale non si compie alcuna critica, ma si vuole dare falsa contezza della presunta miseria intellettuale del prof. Asor Rosa. Né ciò, francamente, laddove assurdamente dimostrabile, potrebbe rivestire alcun interesse per i lettori e/o la comunità scientifica nazionale e internazionale. Uguale a dirsi per il vocabolo esibizioni». Poi quella sequela di interruzioni «ma valga il vero» e un feroce, conclusivo, contrariis rejectis che fanno dire all'awocatoscrittore Fulvio Gianaria: «Non entro nella questione, ma certo che sono formule poco adeguate ai contendenti. Formule di un tempo, con cui si sottolineava la propria convinzione o si spaventava il villico nemico. Poco adeguate a uno scontro fra illustri studiosi della nostra cultura». Marco Neirotti La guerra fra i due studiosi aveva diviso il Dipartimento di letteratura ed era culminata con una «scissione» Critiche feroci sui giornali, stroncature; e l'accusa di aver favorito la sua compagna ha provocato la denuncia i cioco, are: sornere ione nale. rezucia dere. ione osse Itadam, em dal c'è e va tale, enza enza izia: rsora le fi di Qui accanto, Alberto Asor Rosa. Nell'immagine a destra Giulio Ferroni. Il disaccordo fra i due italianisti è sfociato prima in un'aspra polemica, e ora in una causa giudiziaria

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