DA BOLLATI, A SCUOLA DI BUONA EDUCAZIONE

tuttolibri tuttolibri LA STAMPA Gioiml) 23 Maggio 1996 PAROLE ROSA IXV„> , Angela Bianchini Voce donna Frassinelli pp. 260, L. 26.500 Presenza e scrittura femminile nell'Occidente PRESENZA e scrittura femminile nella storia sociale dell'Occidente. Torna, aggiornata, questa galleria di donne, ritratte con sapienza e finezza. Dall'Egitto al Rinascimento, dalla Francia di Luigi Filippo all'epoca vittoriana, al Novecento, secolo che nella prima metà «ha visto i momenti più alti delle affermazioni femminili». Con una intervista a Maria Rosa Cutrufelli. VIAGGI AA. W. Viaggi di donne Liguori pp. 252. L. 35.000 Le donne itineranti dal Medio Evo a oggi LE donne in viaggio. Una raccolta di saggi, a cura di Andreina De Clementi e Maria Stella, che spaziano tra il Medio Evo e il nostro tempo. Le descrizioni della terra natale, la luna di miele, l'esperienza migratoria... Appartenenza sociale diversa, differenti registri narrativi, una varietà di approcci scientifici: linguistica e storia, critica letteraria e sociologia. VOLTI M. Cepeda Fuentes Le tre facce della luna Camunia pp. 188, L. 26.000 Lune, dee, madonne nere metamorfosi nei secoli MODELLI e archetipi della donna attraverso i secoli. Come nume tutelare, la Luna, eterno principio femminile. Marina Cepeda Fuentes, studiosa di tradizioni popolari, ne esplora le tre facce: Selene, Ecate, Artemide. Quindi visita le grandi dee della donna (Gea, Era, Giunone, Vesta, Afrodite) e le Madonne nere. Un tentativo di sciogliere il rebus: «Che Luna e che donna sono?». àòkffZZiì. nel* lotta ASCESI Luciana Mirri La dolcezza nella lotta Edizioni Qiqajon pp. 400, L. 50.000 Lotta e contemplazione nel segno della dolcezza DONNE e ascesi secondo Girolamo, iniziatore di un presenza monastica latina nella terra dell'incarnazione. Lo studio di Luciana Mirri ruota intorno alle lettere di questo padre della Chiesa ad alcune monache. Una sequela di parole profetiche, la testimonianza di una profonda sensibilità verso il carisma proprio della donna. Lotta e contemplazione, sempre sul filo della dolcezza. DA BOLLATI, A SCUOLA DI BUONA EDUCAZIONE Un irripetibile galateo civile e editoriale ON aveva nessuna voglia di parlarmi Giulio Einaudi, quella mattina di un ormai lontano giugno 1961, in occasione del mio colloquio - esame per l'assunzione nella sua casa editrice: «Stamane non va - mi disse in un soffio di dispetto, con gli occhi più azzurri e gelidi che mai -. Qui c'è il mio "altro da me (e l'espressione mi colpì), parli con lui"». Appoggiato al termosifone, nel suo studio d'angolo tra corso Re Umberto e via Biancamano, c'era un neppure quarantenne lungo lungo, un sorriso tra l'ironia e una melanconia dolce stampato sulle labbra: Giulio Bollati. Ci trasferimmo al caffè Piatti, gli confessai timori e tremori di quella mia scelta, mi parlò a lungo, fu di continuo molto ironico e un pizzico malinconico. L'indomani telefonai a Einaudi: accettavo con entusiasmo. Per un anno non lo vidi quasi Per discrezione e sobrietà nei rapporti con gli altri, c'era ài sentirsi a disagio tanta era la sua superiorità su lutti gli einaudiaiù LA BORGHESIA ITALIANA PRTVA 1)1 COSCIENZA Sul tema della borghesia Giulio Bollati, nel decennale del suo «L'Italiano», ha rilasciato ad Antonella Rampino un'intervista che pubblicheremo nelle prossime settimane. Eccone un brano. UNA società moderna ha bisogno di una classe dirigente. L'Italia però non ha mai avuto una borghesia moderna: non ha mai avuto una classe che avesse coscienza del proprio benessere e responsabilità del proprio ruolo, una classe che si ponesse come guida e modello di vita e di democrazia. Una classe che fosse maestra di gusto e nella vita mondana, il che era poi quel che interessava a Leopardi, e insieme attenta all'amministrazione e alla cultura, alla conversazione e all'educazione dei propri figli. (...). La borghesia italiana è disomogenea quasi quanto cent'anni fa. E ancora malata di consociativismo. Antonio Gramsci prevedeva che ci sarebbe stata una specie di partizione tra il Nord e il Sud: gli industriali da una parte, e gli amministratori dall'altra. Un'intuizione straordinaria. Quando oggi gli imprenditori si lamentano perché i politici pretendono le tangenti, e i politici italiani ribattono che l'impresa in Italia è tutta sovvenzionata, beh, è la più clamorosa denuncia dell'enorme frattura tra coloro che si sono riservati la delega del governare, e coloro che hanno la delega a produrre. Nel resto dell'Europa, invece, la guida del Paese, la classe dirigente è molto più omogenea come formazione, come cultura, come ideali. E anche come comune intendere le proprie responsabilità e la cosa pubblica. Giulio Bollati più. Ci incontravamo tutti i giorni, ma io stavo in stretto regime di training sotto Italo Calvino, a cui dovevo succedere come capoufficio stampa: un lavoro pazzesco, mai un giudizio lusinghiero («Io credo nella pedagogia repressiva», aveva premesso il mio allenatore), qualche lacrima di nascosto: ma una scuola stupenda, e alla fine un: «Adesso sei pronto», che valeva mille diplomi. Fu allora che cominciai a «studiare» con Bollati. Lui era il condirettore generale, e non aveva nessun preciso incarico nei miei confronti. Ma ero io che, d'istinto, m'ero messo a quest'altra diversissima scuola. Prima di tutto, di buona educazione. Non credo d'esser maleducato, a casa m'avevano insegnato le buone maniere. Ma Bollati, in quest'ambito, era un fuoriclasse. Sarà stato quel Saint-Pierre nel patronimico con tanto di castello in Val d'Aosta, sarà stato Bertolucci a Parma o la Normale a Pisa; ma quanto a tatto, discrezione, senso della misura, sobrietà di gesto e parola nei rapporti con gli altri, c'era da sentirsi a disagio tanta era la sua superiorità su tutti gli einaudiani. Dopo un anno di «educandato», fui ammesso al tavolo ovale delle riunioni del mercoledì. Non ho problemi di loquela, sono anzi piuttosto sfacciato: ma, per diciassette anni, non sono mai intervenuto senza guardarlo, magari di sottecchi: a Bollati bastava un ammicco o, nei casi peggiori, un trasalimento per farti capire al volo che ti eri messo, a parole, su una brutta strada. Fu lui a spiegare a me, e ai più giovani entrati dopo di me (i Ferrerò, i Fossati, gli Orengo), che il segreto del successo di un editor nei confronti degli autori era una mai confessata complicità, fatta tuttavia, giorno dopo giorno, di piccoli cenni d'intesa, di quasi impercettibile prove di fedeltà, di segni lievi lievi di una sotterranea fratellanza. Così «parlava», quasi senza parlare, a Franco Basaglia come a Elsa Morante o a Paolo Volponi, per parlare soltanto di alcuni tra i suoi amici veri, che l'hanno preceduto nel Grande Silenzio. Fu lui a insegnarci che lavorare con un autore alla messa a punto dell'opera era un dirittodovere dell'editor: ma che bisognava farlo senza darlo assolutamente ad intendere all'interessato. In questa vera e propria «arte àe\\'under statement» Bollati era un maestro. Non c'è stata, non dico opera prima, ma anche opera grande dei «suoi» autori a cui non abbia messo penna (lasciamo stare le decine e decine di correzione alle introduzioni o ai saggi di noi colleghi): eppure nessuno degli interessati se ne accorgeva davvero, tutti hanno sempre creduto, sino all'ultimo, che fossero farina del proprio sacco persino i ritocchi che lui, tra il furtivo e il sornione, introduceva sulle ultime bozze. Era molto consapevole (ed era molto orgoglioso) della sua superiorità intellettuale su due terzi delle persone con cui era venuto a contatto. Ma non si è mai stancato di ricordarci che questa consapevolezza e questo orgoglio, nella professione dell'editoria (che è forse la professione, e la malattia, più bella dal mondo) bisogna nasconderli a tutti e ad ogni costo. La collana a cui ho lavorato con più passione alla Einaudi, la bianca di Poesìa, era nata da un'idea sua, ma non l'ha mai detto a nessuno (ed io mi sono nascosto, colpevolmente, dietro il suo silenzio). Il suo più grande dolore è stato leggere la dedica di Barthes a Vittorini degli Elementi di semiologia, l'opera che inaugurava «Nuovo Politecnico», collana da lui vagheggiata, progettata, e, di fatto, diretta stupendamente, senza firmarla per lunghi anni: ma me ne ha parlato quindici anni dopo, quando io aveva lasciato lo Struzzo e lui si apprestava a diventare editore in proprio. Mi piacerebbe che qualcuna, almeno, di queste sue magnifiche, eppure privatissme, virtù trasmigrasse, da lassù, negli editors di oggi, così diversi da lui, così supponenti e rampanti. Guido Davico Bonino Giulio Bollati è scomparso nella notte fra venerdì e sabato scorso all'età di 72 anni Sotto, nella foto piccola, la sorella dell'editore, Romilda Bollati

Luoghi citati: Egitto, Europa, Francia, Italia, Parma, Pisa, Saint-pierre, Val D'aosta