La rivoluzione perduta di Pierluigi Battista

La rivoluzione perduta Nel Polo finita la corsa al «nuovo», Fini e il Cavaliere costretti a decidere: moderati o estremisti La rivoluzione perduta GROMA LI esponenti del Polo che hanno negativamente commentato il discorso di Prodi al Senato ne hanno biasimato l'eccesso di continuità con lo stile, il lessico e la simbologia della Prima Repubblica, tuonando contro il colpo di freno impresso al «cambiamento», la frustrazione del «nuovo», l'aria di «restaurazione». Strano: da che mondo è mondo i moderati diffidano del «nuovo», temono il «cambiamento» troppo brusco, evitano come la peste discontinuità troppo radicali. I moderati italiani invece, in un Paese in cui il principale partito d'opposizione amava definirsi insieme «rivoluzionario» e «conservatore», «di lotta e di governo», per due anni si sono rappresentati come una forza rivoluzionaria, artefici di una rottura epocale. Ma' ora quel capitolo è definitivamente chiuso. Non è facile per il Polo chiudere la parentesi del «moderatismo rivoluzionario» perché questa è stata in passato la combinazione vincente del fenomeno Berlusconi. Espressio- ne del moderatismo, nel senso della raccolta dei robusti umori anti-sinistra diffusi nel Paese, del bisogno di dare una nuova casa confortevole a quella parte maggioritaria dell'elettorato che con la fine dei partito travolti da Tangentopoli era rimasta improvvisamente senza un tetto. Espressione di una pulsione rivoluzionaria, perché l'Italia politica rasa al suolo dal terremoto giudiziario avvertiva la sensazione di vivere nell'anno zero, l'illusione di ricominciare dal nulla, di dare voce e rappresentanza politica a ogni malumore, a ogni vento di rivolta, a ogni insofferenza cresciuta all'ombra dell'ancien regime. Si pensava di vivere una rivoluzione, e in una rivoluzione l'unico linguaggio appropriato per strappare il consenso è appunto quello rivoluzionario. Berlusconi fece di tutto per accreditare l'idea di essere il si più rivoluzionario di tutti. Alimentando il mito dell'imprenditore antipolitico che entra in politica per rivoltarla da cima a fondo sotto il segno dell'audacia e dell'efficacia aziendale, s'impossessò della bandiera del «nuovo» per scagliarla contro i sepolcri imbiancati della Prima Repubblica. Si scagliò contro l'establishment, contese la piazza alla sinistra, si autoparagonò a Masaniello, si appellò a una versione integrale della sovranità «popolare», agitò il vessillo del liberismo nel paradiso del consociativismo, si crogiolò nell'intensità emozionale del radicalismo verbale. Il resto lo fece la sinistra, che ingigantì i pericoli dell'ignoto, radunò tutti i timori di chi si sentiva spiazzato dal linguaggio inaudito di un alieno che sembrava sovvertire tutte le consuetudini della politica italiana, intercettò il desiderio di tranquillità e di «moderazione» messi a repentaglio dall'estremismo dell'avversario. E anche quando Berlusconi sembrò alla fine acconciarsi alle cautele del Grande Accordo altrimenti detto «inciucio», la doppia anima del «moderatismo rivoluzionario» sembrò sul punto di disintegrarsi nella tenaglia dell'intransigentismo estremista di Fini e dell'iper-pragmatismo dei «centristi» eredi della moderatissima de. Ora che è iniziata la «traversata nel deserto», quel che resta del Polo è obbligato a decidere. A scegliere di essere o «moderato» oppure «rivoluzionario». Se, dal suo punto di vista, imputare all'Ulivo di essere troppo «continuista» oppure di rappresentare un'apertura eccessiva a una sinistra che per la prima volta è parte organica e maggioritaria di un governo. Anche la scelta del leader costituisce per il Polo una risposta a questo dilemma. Sempre che il centrodestra, incapace di riaversi dallo choc, non scelga di immalinconirsi nel rimpianto della rivoluzione perduta. Pierluigi Battista A, Il leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. Il Polo è stretto tra l'intransigenza estremista e il pragmatismo dei «centristi», eredi della moderatissima de

Persone citate: Berlusconi, Fini, Gianfranco Fini, Prodi

Luoghi citati: Italia