«Gli storici italiani? Sono un po' traditori»
Tranfaglia contro De Felice e la sua scuola: un pamphlet in uscita per Laterza Tranfaglia contro De Felice e la sua scuola: un pamphlet in uscita per Laterza «Gli storici italiani? Sono un po' traditori» POLEMICA. Yj\ TORINO NA sferzata agli storici italiani perché escano dal I I mondo chiuso delle accasz. I demie. Un aperto invito a prendere posizione nella battaglia delle idee sull'eredità del fascismo. I guasti della dittatura e la catastrofe bellica a chi devono essere attribuiti: al popolo italiano o al duce e ai gerarchi? Che cosa rappresenta la ferita dell'8 settembre nella storia della nazione? Quali contributi accettare j quali eccessi respingere nel revisionismo storiografico di Renzo De Felice o di Erich Nolte? Che cosa non si deve sacrificare a una politica di concordia nazionale? Gli studiosi di storia contemporanea non possono più sottrarsi a questi interrogativi, imparando a sporcarsi le mani con la divulgazione: è la tesi sostenuta da un capofila dei contemporaneisti, Nicola Tranfaglia, dell'Università di Torino, in un polemico libro, Un passato scomodo, di imminente pubblicazione nei «Sagittari» di Laterza. II punto di partenza è il posto ingombrante che la polemica sul fascismo continua ad avere nella vita italiana, 74 anni dopo la marcia su Roma, 51 anni dopo la sconfitta della Rsi. Nella crisi del sistema politico che ha retto la Prima Repubblica si sono affacciate - secondo Tranfaglia - semplificazioni manichee, in cui i «buoni» sono quelli che vogliono mettere una pietra sul passato, mentre i «cattivi» si rifiutano di equiparare fascisti e antifascisti, repubblichini e resistenti. Il revisionismo si sarebbe tradotto politicamente in «un vero e proprio panegirico della passività e dell'astensione dalla lotta». Responsabile principale di questa tendenza, che minerebbe la nostra cultura democratica, e bersaglio numero uno del libro, ò Renzo De Felice, per il monumentale Mussolini (sette volumi Einaudi per quasi 6000 pagine) e per il librointervista // rosso e il nero, a cura del giornalista Pasquale Chessa. Ma prima di attaccare De Felice, senza risparmio di colpi, Un passato scomodo mette a nudo due limiti dei contemporaneisti italiani, due vizi fondamentali della corporazione, che avrebbero favorito il successo del revisionismo e contribuirebbero alla confusione delle idee storiografiche. La critica è rivolta anche a sinistra, riconoscendo tuttavia l'importanza di tesi innovative come le «tre guerre» di Claudio Pavone e la «zona grigia» di Gian Enrico Rusconi. Innanzi tutto l'incapacità di fare divulgazione storica: «All'interno della corporazione degli storici, scrivere un testo divulgativo equivale pressappoco a prostituirsi». Mentre nel mondo anglosassone la divulgazione è un compito tradizionale della comunità scientifica, nell'università italiana chi ci si azzarda «rischia di sentirselo rimproverare dai propri giudici ed esaminatori, e poi, pei- il resto della vita, dai colleghi». Così la divulgazione storica è affidata a televisione e giornali, soprattutto alle dispute fra opinion-makers (fra i quali Tranfaglia contesta in particolare Galli della Loggia, e il suo pamphlet La morte della patria). In secondo luogo, sono sotto accusa «i ritardi degli storici italiani» - come s'intitola il secondo capitolo (dei tre di cui il libro è fatto) -, colpevoli di soggezione al clima politico, incapaci di affondare con la dovuta nettezza il bisturi della ricerca nel fascismo e nello stalinismo. La polemica rimprovera alla storiografia di sinistra di aver dato al lavoro dei revisionisti «una risposta lenta e a volte affannata» e di non aver avuto il coraggio di affrontare i nodi del comunismo: a parte i lavori di Paolo Spriano, Giuliano Procacci e Aldo Agosti, «non si può dire si sia posta in maniera preminente il problema storico dello stalinismo e delle sue conseguenze». In questo vuoto, l'opera e la scuola di Renzo De Felice (che go¬ dette dell'avallo dello storico comunista Delio Cantimori) sono diventate, secondo Un passato scomodo, l'interpretazione dominante del regime fascista e della guerra civile, che ispira operazioni come lo sdoganamento dei voti di An: «Le "provocazioni" di De Febee e dei "revisionisti" conseguono di solito l'effetto di alimentare quell'anticomunismo che inclina verso la riabilitazione e il recupero della destra». Non è la prima volta che Tranfaglia attacca le tesi di De Felice, forse è la prima volta che lo fa direttamente, mettendone in discussione la figura intellettuale. Il suo Mussolini non sta in piedi, perché De Felice, di fronte a tutti i nodi della storia fra 1919 e 1945, offre una spiega¬ zione che «si collega sempre strettamente allo stato d'animo del protagonista, alle motivazioni psicologiche e prepolitiche che lo muovono». La sua opera non è una biografia ma un «monumento». E' «senza fine» - titolo di un articolo su Studi storici, cinque anni fa (Tranfaglia, Collotti, Miccoli, Barbagallo) -, perché il personaggio straripa e deborda: lui è la storia. Un esempio significativo, fra le prove accusatorie di questo processo? De Felice rimuove, secondo Tranfaglia, il razzismo di Mussolini. Nel Rosso e il nero conferma che il duce «non fu in nessun modo antisemita né razzista», ma non si sogna di considerare le tesi del libro Mussolini e gli ebrei di Michele Sarfatti (edito da Zamorani) sulla «partecipazione diretta e zelante del dittatore a una legislazione antiebraica, che in campo scolastico è più dura, almeno all'inizio, di quella nazionalsocialista». Il passato scomodo riemerge restituendo alle nuove generazioni l'asprezza del conflitto: non a caso il libro è dedicato dall'autore ai suoi studenti. Alberto Papuzzi Semplificazioni manichee, a sinistra l'incapacità di divulgare, a destra il revisionismo. Fra gli accusati anche Galli della Loggia Lo storico Renzo De Felice; al centro, Nicola Tranfaglia; più a destra, una caricatura con il Mussolini nero e il Mussolini Lo storico Renzo De Felice; al centro, Nicola Tranfaglia; più a destra, una caricatura con il Mussolini nero e il Mussolini
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