Una dolce Medea ebraica vuole sconfìggere la pace

Miriam Lapid, il marito e un figlio uccisi in un agguato, guida l'estrema destra Una dolce Medea ebraica vuole sconfìggere la pace Miriam Lapid, il marito e un figlio uccisi in un agguato, guida l'estrema destra GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO Un drago. Mentre racconta la sua vita e la sua linea politica, la leader del partito più di destra d'Israele, in confronto al quale Bini Netanyahu è un agnello, un noto pacifista, viene da pensare che sotto la sede del partito Yemin Israel «La destra d'Israele», in una stradina che scende da Mea Shearim, il quartiere ultraortodosso, vicino al negozio dei cappelli Borsalino, Miriam Lapid abbia parcheggiato un drago, e non un'utilitaria scassata, come invece ha l'atto. Quando avremo finito di parlare, immaginiamo che alta, pallida, magra, bella del genere Isadora Duncan oppure Virginia Wooli', I profilo greco, carnagione candida e perfetta, ci monterà sopra, esilissima, e quello con una folata di fiamme dalle narici la porterà nei territori occupati, nel desorto, lontana, finalmente fra i suoi coloni della West Bank, pardon, della Giudea e della Samaria come piace a lei. La sede è povera, i suoi compagni di partito sono molto speciali: tutti religiosi, quasi tutti coloni di Kiriat Arba o di Tekoa, sull'orlo di essere abbandonati in mano palestinese, o già lasciati a se stessi. Composizione sociale della leadership: molti ex servizi segreti, Shin Bet e Mossaci; oppure gente con un curriculum militare eroico a cui evidentemente avevano attribuito un valore politico e umano miracoloso, che invece non ha funzionato. C'è anche un accademico molto stimato, un genio nell'ingegneria aeronautica, deputato alla Knesset: Shaul Guttman. Spunta anche un certo Yoel Lerner di cui i giornali hanno molto parlato perché ha cercato di far saltare più volte per aria il monte del tempio. Ma prima di tutto, lei: avrà una cinquantina d'anni, alta, magra, vestita da religiosa con la gonna lunga e il cappello rosso bordeaux che le ombreggia l'occhio sinistro. E' ben truccata con colori chiari. La sua voce è alta, seducente, come se cantasse da contralto. La sua segreteria telefonica, invece di dire «Lasciate un messaggio dopo il bip», dice che «Kaddosh Baruch Hu, il Santo. Benedetto Egli Sia, consegnò agli ebrei responsabilità ben più grandi che le altre nazioni. E ora lasciate un messaggio». Tanto per cominciare. Miriam ha tredici figli dai cinque anni a più di venti. Sì, proprio tredici, e ne aveva quattordici. Nella vita di Miriam Lapid, infatti, c'è una disgrazia terribile: una sera, nel dicembre del 1993, il marito Mordechai, un settler mitico, bellissimo anche lui, la camicia a scacchi, la kippà fatta ad uncinetto, l'ideologia del confine e del destino messianico del popolo d'Israele nel cuore, tornava a casa a Kiriat Arba, la periferia ebraica di Hebron. Insieme a lui sedeva in macchina il figlio Shalon di diciannove anni. Furono uccisi tutt'e due in un agguato palestinese. Miriam rimase sola, invincibile, tuttavia, con i suoi tredici orfani, e chiese ospitalità al kibbutz Hafez Haijm, un kibbutz religioso. Là, in una casa molto modesta, seguitò a onorare la discendenza dal famoso Gaon di Vilna, un mitologico, grande sapiente, e a vivere nello stile della sua buona famiglia da tre generazioni a Gerusalemme. Non rinunciò neppure alla sua passione musicale e letteraria, peraltro ambedue onorate da titoli accademici, a coltivare la sua notevole bellezza, e l'educazione dei figli, anche loro tutti belli, vivaci, tutti ora vestiti con delle magliettacce da kibbutz, pigiati per pranzo in una poverissima sala da pranzo sotto il ritratto sorridente del padre-patriarca-eroe. Ma soprattutto ciò che Miriam ha fatto in questi anni è stato prepararsi a queste elezioni con la più estrema e terribile delle determinazioni. La sua tesi e quella dei suoi, che in questi giorni fanno una campagna tirata con le unghie, con poca gente e senza soldi, è semplicissima: non esiste più nessuna destra in Israele fuorché Yemin Israel, il suo partito. Persino Rehavam Zevi, l'ultraconservatore detto ironicamente «Gan¬ dhi», con il suo partito, il Moledet (la Patria), benché l'abbia creato non osa più patrocinare la sua idea, la deportazione di tutti gli arabi, anche degli arabi israeliani. Tutti, lo Tzomet, il Moledet, lo Shas, il Mafdal, tutti partiti di destra, per non parlare del Likud, sono a favore onnai dell'abbandono della terra d'Israele, a favore dell'accordo di Oslo che mette tutto in mano ai palestinesi, anche i territori più santi di Eretz Israel «le zone più propriamente nostre, come Hebron, e domani sarà la volta di Gerusalemme». «E' una tragedia - dice Miriam Lapid -. La gente non ha ancora capito che non esiste più la destra, che tutti hanno ormai rinunciato, che tutti hanno aderito al processo di pace fuorché noi». Ci facciamo spiegare meglio la faccenda della deportazione: come si fa, con i camion carichi di gente accompa¬ gnati al confine? «Noi siamo un popolo civile e misericordioso spiega Lapid senza battere ciglio -, Troveremo il modo di completare quello che in realtà è già avvenuto: uno scambio di popolazioni. Nel '48, gli ebrei orientali cominciarono a fuggire dai Paesi arabi, e così fecero gli arabi da qui. Oggi, però, quelli rimasti hanno un tasso di natahtà tre volte il nostro; consumano tutti gli stanziamenti per l'assistenza perché i loro bambini e le loro donne che non lavorano sono molti, ma molti di più. E noi li aiutiamo a moltiplicarsi, a educarsi, a sostentarsi perché poi, com'è evidente, ci schiaccino con il loro numero e anche con il loro odio. E così siamo pronti a farci piccoli e carichi di doveri persino di un dittatore orribile come Assad di Siria: mai e poi mai gli dovrà essere restituito il Golan. Ma tant'è: siamo così carichi di complessi di colpa che facciamo sempre gli interessi del nemico». Il quorum che Miriam Lapid deve raggiungere è di circa quarantamila elettori. Dice che sinceramente, anche se non vorrebbe ammetterlo, ha qualche dubbio se ce la farà: «Ci sono tanti rabbini che invitano a votare per altri partiti religiosi, tanti coloni che preferiscono Gandhi: solo per abitudine, perché non hanno ancora capito. Sarebbe un tale disastro però se il Paese restasse senza destra! Ma noi spieghiamo e spieghiamo, abbiamo fede, non spariremo». Com'è Miriam?, chiediamo ai suoi compagni di partito. «E' così premurosa, materna. Telefona sempre con il telefonino quando siamo fuori per i comizi e quando fa caldo ci chiede se abbiamo bevuto abbastanza». Fiamma Nirenstein Alla segreteria telefonica prima del bip scatta un messaggio: Dio ha dato al nostro popolo responsabilità più grandi delle altre nazioni telefonica p scatta un io ha dato ro popolo più grandi tre nazioni ifìiH mai Un colono Israeliano Negli insediamenti un serbatoio di voti contro la pace Sì Sf PERES [LABORISTI] 51% NETANYAHU [LIKUD] 49% Un colono Israeliano Negli insediamenti un serbatoio di voti contro la pace Un ultraortodosso passa davanti a un manifesto che ritrae Arafat come una bomba a mano