Il treno della felicità di Gabriele Romagnoli

Il treno della felicità Il treno della felicità Viaggio per incontrare la Signora IROMA L treno del grande viaggio parte da Torino Porta Nuova alle 5 e 55. Quattordici carrozze, mille posti. «Per i più casinisti», dice il vicequestore Filippo Dispenza, aspettandoli nel piazzale. Arrivano alle cinque, in ordine sparso, con le maglie blu e la stella gialla (mai visto un Deschamps così fuso), con un pallone da far rimbalzare nell'attesa, zainetti stracolmi, occhi pesti. Il primo spinello si accende alle 5 e 39. Il primo cellulare trilla alle 5 e 41. Mentre ti domandi quale delle due cose sia più fuori tempo, il vagone undici diventa un campo di grilli gravato di nuvole bianche. I poliziotti che passano in rassegna gli scompartimenti sequestrano tavolette di hashish e consegnano minacce. Il vicequestore, più juventino dei ragazzi, dice che non capisce che bisogno abbiano di sballare con il fumo e l'alcol all'inizio di una giornata così. E' la loro giornata, dottore, quella in cui tutto deve andare al massimo: Del Piero, Vialli, il cervello e i battiti del cuore. L'hanno immaginata così e ne capitano poche perfino nella fantasia. La voleva così anche Paolo, che ha sedici anni e fa il muratore a Nichelino. Quando vede i poliziotti butta via, ma troppo tardi, una pallina di «nero». Lo fanno scendere dalle parti di Alessandria, su una banchina deserta dove se invochi la coppa dei campioni ti danno un gelato Besana. Guarda gli agenti sotto un berretto con l'emblema di uno dei sette nani. Dice: «Scusatemi vi prego, mi scusi commissario, dottore, signore». Ma dove l'avete mai visto un criminale con il berretto di Mammolo? Ma come si possono scaricare dal treno per l'Europa le attese di un ragazzo che tira su case a Nichelino? I poliziotti riaprono lo sportello. Lui dice ancora: «Grazie, scusatemi, davvero» e si riparte. Avanti tutti. Tu con la maglietta che ha la scritta: «Per noi, per Andrea, per non di¬ menticare Bruxelles, per conquistare l'Europa e dominare il mondo». Avanti, anche se magari eri uno di quelli che a Fortunato andarono a tirare schiaffi perché in campo non rendeva e se la notte dell'Heysel avevi cinque anni «ma quello è come fosse successo a tutti gli juventini di tutte le epoche», dici convinto, come fosse l'Olocausto. Avanti anche tu che hai avuto due condanne (detenzione di stupefacenti) e dici che «la vita ha bisogno di eccitazioni, eccitanti, cose così e non si è persone peggiori a cercarle. Ma niente è eccitante come la Juve, se vinciamo stasera è come pipparsi tutto l'Lsd della Terra». E il popper, e lo shaboo, a giudicare dall'effetto preventivato. Passano le ore e le stazioni. Genova: «Serie B! Serie B!». Pisa: «Serie C! Serie CI». Grosseto: «Dove giocano questi?», «Boh!», «Serie D! Serie D!». Avanti: «Il treno degli sportivi transita sul binario due» e il poliziotto commenta: «Chisti nussò sportivi, sò cinghiali». Cinghiali in gabbia, da un'alba all'altra, con la speranza di vedere le stelle, nel mezzo e non sentirsi più prigionieri, anche se si è stati chiusi dentro i vagoni, incastrati fra due file di caschi e manganelli appena sbarcati a Roma Ostiense, sigillati sugli autobus per l'Olimpico, sbattuti sulle gradinate sotto il sole delle quattordici, perché non poteste attaccare un tifoso dell'Ajax o della Roma. In cattività e incattiviti. Se¬ cessionisti per sfida: «Macché Italia, la finale a Roma si gioca all'estero. E vincere nella tana della "razza bastarda" vale doppio». Sprezzanti per offesa, giù dal treno scandendo: «Noi non siamo sporchi romani» e poi, a scanso di equivoci «Vaffanculo tutta Roma». Avanti così, guardati come animali strani e pericolosi. Cinghiali siete, cinghiali resterete, vi griderebbero se avessero i vostri ritmi. Cinghiali, sì, ma con paure da possibili prede. E se la Juve perde? Piero si tocca e dice che sarebbe «impossibile da accettare». Ma ci sono sempre due risultati possibili... «No, stasera no, stasera dobbiamo vincere e riscattare tutto». Tutto cosa? La storia collettiva di generazioni che solo nel tifo calcistico han¬ no trovato un'identità? I prevedibili destini su rotaia dei giovani muratori di Nichelinofacchini di Volvera-magazzinieri di Orbassano, che oggi vivono di Juve e fumo, domani di Juve e basta. Prima che il resto vada in fumo, c'è ancora questa giornata che non finisce mai e questa partita che mai non comincia. E se la Juve vince? Piero dice che «Facciamo Lippi papa e Vialli santo e qualunque cosa succeda dopo non mi importa più, posso tornare a casa e trovarla scoperchiata, cosa me ne frega?». Niente, non c'è niente più di quello che c'è adesso qui, dove siamo finalmente arrivati a metà del viaggio. Dentro l'Olimpico a guardare come strani animali, loro sì, Alba Panetti scintillata di ver¬ de che invita a fare un gioco con i cognomi dei calciatori e Riccardo Cocciante che vorrebbe la ola per «Cervo a primavera». Dentro l'Olimpico a esprimere desideri sotto il cielo, un trionfo sportivo, certo, ma anche cose così: «LORETTA TI AMO-SPOSAMI» su uno striscione bianco appeso allo stendardo dei «Fighters». Dichiarazione in eurovisione di un «cinghiale» innamorato. Poi, finalmente, si guarda giocare. Libera gioia (Ravanelli), libera sofferenza (Litmanen), sfinimento dei supplementari e trepidazione dei rigori che si portano via un secondo come se fosse un anno. Peruzzi («il cinghialone», mica un caso) che fa muro, un mattone-due, per costruire la speranza. E la vedi crescere, fino a quel momento senza tempo, che la memoria di mille ragazzi salverà dalla consunzione di tutti gli istanti che passano, in cui Jugovic la mette dentro, smette di piovere, smette per sempre e il treno arriva a destinazione. Gabriele Romagnoli