Nelle reti di sua maestà il Nulla

Nelle reti di sua maestà il Nulla Pensatori a confronto sul trionfo del nichilismo, mentre esce lo studio di Volpi Nelle reti di sua maestà il Nulla Fra arte, religione e morale, rischio mortale o via d'uscita? wt|N fantasma si aggira per ! l'Europa: è il fantasma del nichilismo. Questa parola I I oscura, dai molti significava Iti, dirama i suoi tentacoli nel pensiero e nell'arte, dissolve le antiche certezze, scende, all'insaputa dei più, nella vita quotidiana, ridotta alla frantumazione del qui e ora. «Chi non ha sperimentato su di sé l'enorme potenza del niente e non ne ha subito la tentazione conosce ben poco la nostra epoca», scriveva il cinquantacinquenne Ernst Jùnger a Heidegger nel 1950. Oggi Jùnger ha 101 anni, ha potuto assistere alla irruzione generale del Nulla, che scardina tutti i precedenti progetti per dare ordine al mondo, e trovargli un senso. Ma è davvero il nichilismo l'ultima guida che ci è rimasta per vivere? Siamo preda di una scienza e di una tecnica che ci hanno preso la mano, abolendo l'etica, la religione, la storia? Franco Volpi conclude il proprio libro su II nichilismo, appena uscito da Laterza, sostenendo che «sotto la calotta d'acciaio del nichilismo non v'è più virtù o morale possibile». Dobbiamo davvero rinunciare a ogni bussola, come egli scrive, «navigando a vista negli arcipelaghi della vita, del mondo, della storia»? L'ultimo capitolo di Volpi si intitola «Oltre il nichilismo?» con un bel punto interrogativo, che lascia intuire il suo scetticismo sulla risposta. Umberto Galimberti, che sta scrivendo un libro su Psiche e techne, non crede si possa andare oltre. «Io sono più nichilista di Volpi - confessa -. Man mano che noi entriamo nell'età della tecnica, questa abolisce tutte le costruzioni di senso che ci eravamo dati, compreso il concetto di storia. La tecnica non ha in vista altro che realizzare il proprio perfezionamento. Ha smesso di essere uno strumento nelle mani dell'uomo, è diventata lei il soggetto, l'apparato, di cui noi uomini siamo funzionari». Sarebbe il nuovo Dio, che ci domina? Non esattamente, per il filosofo. «La metafora di Dio è intrisa di umanesimo, implica la provvidenza, ha caratteri antropologici. La tecnica non si prende cura degli uomini. Il mondo da lei costruito non si propone alcun compito da realizzare». Ma c'è chi, collocandosi in altra prospettiva, una via d'uscita al nichilismo la trova. Bruno Forte, leader della nuova teologia italiana, non vede, in quella pericolosa parola, la fine di ogni valore, neppure per la religione. «Certo - ammette è difficile conciliare mi discorso di fede con un nichilismo debolista, come dico sempre a Gianni Vattimo. Ma c'è un'altra forma di nichilismo, che non è un semplice contrappunto al pensiero forte della modernità. E' un pensiero altro: al di là dell'orizzonte che l'essere riesce ad abbracciare c'è un altro modo di pensare il reale. Al di là dell'essere non c'è il nulla come mero vuoto. Ci può essere una eccedenza dell'essere, nel nulla mistico». Il teologo cita «il bellissimo saggio» di Sergio Givone sulla Storia del nulla; cita la notte oscura di Giovanni della Croce: «L'eccedenza dell'essere risponde a questa provocazione, che ci viene dal nichilismo, di non ridurre Dio ai nostri schemi logici». Anche Stefano Zecchi vorrebbe superare il nichilismo, ma non partendo dalla religione, e neppure dalla morale, dopo la lunga opera secolarizzante compiuta dalla rivoluzione industriale e dall'avvento della democrazia. Il libro che sta scrivendo ha per sottotitolo Del sapere dell'arte oltre il nichilismo, senza punti interrogativi. Di lì bisogna partire. «Dobbiamo recuperare il pensiero simbolico, la sua capacità di rivelare nuovi mondi, attraverso l'arte. E' la creatività dell'arte che dovrebbe riappropriarsi il linguaggio. L'educazione estetica ci porta a costruire, non a dissolvere. Quando il processo creativo può realizzarsi, troviamo ciò che si radica in una vita più grande di noi». Per questa via, egli sostiene, possiamo tornare alla religione e alla morale. Ma è necessario, per recuperare questi valori, oltrepassare la condizione nichilista? Gianni Vattimo non lo pensa affatto. Anzi, proprio il nichilismo, secondo lui, è il solo luogo che oggi ci consente di ritrovarli. Vattimo è uno dei due filosofi italiani che Volpi mette più vistosamente in campo, contrapponendolo a Emanuele Severino. «Apologeta del nichilismo», Volpi lo definisce, e Vattimo è d'accordo, ma solo in parte: non certo sul tipo di nichilismo a cui l'autore si riferisce, troppo sbilanciato, a suo giudizio, verso Severino. «Heidegger precisa Vattimo - teorizza che il nichilismo è legato al destino dell'Occidente e al dominio della tecnica. Ma contiene anche un principio di salvezza, perché afferma il divenire, la caducità degli enti - la realtà oggettiva - smentendo la loro perentorietà. Per Severino invece gli enti sono eterni, non si può cambiare nulla. Se non si può cambiare nulla, se fare qualunque cosa è atto negativo, è chiaro che non c'è etica, perché non c'è libertà». Rimane il problema della tecnica, che ci domina: almeno secondo Volpi. «Ma noi non siamo dominati - reagisce Vattimo -. La scienza e la tecnica sono modi di alleggerimento dell'essere. Hanno allungato la vita umana, hanno ridotto la giornata lavorativa. Se si vede la storia dell'essere come divenire, e non come struttura eterna, alla tecnica si può imporre un'etica. Io posso scegliere fra il Grande Fratello e la pluralità delle televisioni». E c'è spazio anche per la religione, nella prospettiva del filosofo, che oggi crede di credere: «Questo indebolimento della struttura dell'essere è il senso del messaggio cristiano. E' l'incarnazione». Oltre il nichilismo? No, dentro: senza punti interrogativi. Giorgio Calcagno Ernst Jùnger

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