Il grande anglista e letterato a cent'anni dalla nascita

Il grande anglista e letterato a cent'anni dalla nascita Il grande anglista e letterato a cent'anni dalla nascita TV ROMA 11 IOVEVANO le bombe e tuow~ navano i cannoni nella picI cola frazione di case e ville *_J sparse nell'Oltrepò Pavese. Il ragazzo, per via dell'oscuramento, leggeva rannicchiato sotto le coperte tenendo una torcia elettrica in mano. La posizione era molto scomoda ma almeno garantiva la minima dispersione di calore in quel gelido inverno del 1944. Però i brividi che il quattordicenne Alberto Arbasino avvertiva lungo la schiena non erano solo di freddo o di paura per i bombardamenti. Glieli metteva addosso il libro che aveva tra le mani, La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica dell'anglista Mario Praz. Questa straordinaria ricerca dell'onnivoro e dotto professore, uscita negli Anni Trenta, insieme agli altri volumi dello stesso autore che l'appassionato liceale riuscì a recuperare in biblioteche di parenti e amici, gli offrì, in quegli ultimi mesi di guerra, squarci incredibUi su un mondo tutto da scoprire che andava dagli arredamenti dannunziani alla ritrattistica neoclassica, da Hieronymus Bosch agli aspetti patologici del decadentismo. Circa tredici anni dopc, ^basino, che nel frattempo aveva brillantemente esordito con i racconti Le piccole vacanze, seguiti dal romanzo L'anonimo lombardo, a casa di Leonetta ed Emilio Cecchi incontrò il «professore» di cui aveva cominciato a leggere le opere sotto le lenzuola. Nacque un'amicizia destinata a durare fino alla morte dello studioso nell'82. E che influenzò non solo il giovane narratore: fu anche una svolta importante nella vita dell'anziano e solitario scrittore, guardato con sospetto dai critici e dai colleghi universitari. Praz, uno dei maggiori saggisti di questo secolo, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, ancora oggi è un per sonaggio scomodo. E' uno studioso eclettico, che crea imbarazzo, diffi cile da classificare e che tende ad essere dimenticato. Come per tanti autori da lui studiati, per Foscolo, D'Annunzio o Rimbaud, anche nel suo caso letteratura e vita hanno fatto tutt'uno. La sua passione per il morboso e l'inquietante, per il diavolo, per le statue di cera, per le urne, i cimiteri, per la morte è riverberata dalla pagina scritta sulla sua persona, circondandolo di un'aura malefica e oscura che lo rende 1'«Innominabile». A rompere la barriera di disattenzione e di velato disprezzo in cui viveva il ricercatore «maudit» che insegnò a lungo all'Università di Roma, furono gli scrittori del Gruppo 63, da Arbasino a Manganelli, Guglielmi e Giuliani, pronti a giudicare con libertà di giudizio fuori dalle invidie e dalle camarille accademiche. Così Arbasino, sul Mondo diretto da Mario Pannunzio, dedicò alla Filosofia dell'arredamento di Praz un lungo articolo intitolato L'anglologo tra l'etagere «Avevo amato quel libro - dice lo scrittore - ma lo trattavo con un tono un po' scanzonato. Già allora Praz era circondato dalla sua fama Pannunzio era spaventato all'idea di attirarsi le sue ire per via del mio intervento poco paludato». Praz non si adirò per nulla e ap prezzò quello che era stato scritto su di lui. «In quegli anni - ricorda Arbasino - si cominciava ad avere un atteggiamento spregiudicato. Si poteva, per la prima volta nel dopoguerra, evitare di omaggiare i grandi Maestri e attaccare i mostri sacri, Cassola e Bassani, che allora avevano le chiavi del potere in mano. Ci si poteva schierare, per esempio, dalla parte di chi veniva valutato poco dai coetanei e dagli scrittori della generazione successiva. Autori come Praz, Palazzeschi e Gadda, circondati dall'ammirazione di un gruppo di intellettuali, che andava da Citati a Sanguineti a Pasolini, ricevettero un sostegno culturale e psicologico. Ma indubbiamente era un incontro avvenuto troppo tardi. Come un amore scoppiato a sessantacinque anni». Tra Praz e Arbasino iniziò un rapporto fatto di lunghe chiacchierate, di incontri non molto frequenti ma intensi: «Mi chiedeva di vederci con delle amiche comuni. Ma era esigente, voleva sempre delle interlocutrici che fossero alla sua altezza, con l'occhio abituato agli oggetti d'arte, pronte a capire un problema di estetica, dotate di gusto per l'arredamento», racconta Arbasino. Alla fine delle conversazioni, Praz aveva un'abitudine curiosa: era solito riflettere a lungo sugli argomenti di cui si era parlato e poi all'appuntamento successivo, con molta discrezione, faceva scivolare nella tasca dell'interlocutore una schedina, su cui aveva annotato dati, precisazioni e anche una piccola bibliografia. L'archeologo di territori mai esplorati, l'autore di opere come Bellezza e bizzarria, fl, giardino dei sensi, Perseo e la Medusa, non poteva piacere ai numi tutelari della nostra letteratura. Benedetto Croce, dopo una prima recensione positiva, gli consigliò di buttare la penna: «Gli metterei la ramazza in mano e gli farei scopare il quartiere, questo lo guarirebbe!», si pronunciò. Ed Emilio Cecchi, a proposito delle sue bellissime pagine su D'Annunzio, gli scrisse acido: «Ella tratta D'Annunzio con i guanti giallo-canarino: ma però ignora, finge di ignorare, la sua poesia: lo sopprime in altre parole». Rimproveri come pietre: non si viveva in un'epoca favorevole agli originali, agli stranieri in patria. Il docente bibliomane apparteneva ad una razza sconosciuta nella repubblica delle lettere italiana. Come mai Praz, il collezionista che con il suo gusto per lo stile impero aveva affollato di oggetti sorprendenti palazzo Ricci e poi palazzo Primoli (oggi divenuto un museo), veniva stimato un cervellotico outsider della cultura? Era considerata deplorevole la sua capacità di avere inventato un genere letterario che metteva insieme arti maggiori e minori, la decorazione, i pouf, gli animali impagliati insieme alla lirica di John Donne o di Swinburne. «Edmund Wilson aveva coniato per lui il termine "prazze- sco", per indicare la mescolanza di macabro e di bizzarro nelle sue opere - osserva Arbasino -. Sempre Wilson lo aveva battezzato "the Genie of the Via Giulia", e cioè genietto, spiritello demoniaco». Il genietto era un personaggio ironico e sorprendente, dal volto severo ma ricco di sense of humour. Ebbe una dimostrazione pratica della sua imprevedibilità proprio Wilson. «Tutto era andato storto. Il cibo al ristorante spagnolo era pessimo. Eravamo Praz, Gabriele Baldini, che insegnava letteratura inglese, la signora Wilson Franca Valeri, Giulia Massari e io • racconta Arbasino -, Wilson si era arrabbiato perché Baldini e Praz avevano tanto discusso di beghe accademiche. Ma quando salimmo nella casa in via Giulia, Praz organizzò un piccolo spettacolo. Tirò fuori da sotto il sofà dei magnifici automi con chiavetta e carillons tra cui c'erano un torero, una ballerina di fandango, un incantatore di serpenti vestiti di paillettes. Li fece danzare per noi». Faceva parte del suo stile anglosassone essere a conoscenza della nomea luciferina che lo accompagnava divertendovisi anche un po'. «Era una diceria che lo seguiva dappertutto - dice Arbasino -. Una sera eravamo in un ristorante e avevamo fatto tardi senza accorgercene. Andai a scusarmi con il proprietario che mi rispose: "Si figuri. Con il professore non ci saremmo mai permessi di fare nessuna osservazione"». Ma la fama dello stregonesco erudito era usurpata oppure no? «Era uno "spiritello" simpatico e benevolo. Mi rammento di una sera ad un concerto a cui seguiva un invito a casa di Maria Luisa Astaldi. Lei, che era una sua grande amica, lo convinse a rinunciare perché lo vedeva piuttosto stanco. Lui accettò il consiglio a malincuore e se ne andò accompagnato dall'autista dell'Astaldi. Quando fummo intorno al tavolo le luci si abbassarono lentamente e poi si spensero. Fummo in molti a pensare che il professore ci salutava da lontano. Un'altra volta prendemmo appuntamento, Praz ed io, con Gaia Servadio, donna e scrittrice molto amata da Praz, che doveva venire a casa mia direttamente dall'aeroporto proveniente da Londra. "Le dica di stare attenta alle nubi", avvertì il professore. Le sue previsioni furono azzeccate e l'aereo tardò per intensa nuvolosità. Non basta. Mentre l'aspettavamo, Praz perdeva la pazienza. Improvvisamente la corrente elettrica andò via in tutta la casa tranne che nella sala da pranzo. Il risotto che io feci portare al più presto in tavola fu l'elemento magico che ripristinò l'illuminazione. Un'altra occasione di magia fu davanti alla regina d'Inghilterra, durante un ricevimento a Castel Sant'Angelo. Praz era molto arrabbiato perché i responsabili del cerimoniale gli avevano sconsigliato di addobbarsi con una bellissima onorificenza di cui lo aveva insignito proprio Elisabetta anni prima in Gran Bretagna. Quando ci avviammo tutti in fila per la cena, Praz un po' malignamente indicò uno scalino difettoso: "Mi pare mangiucchiato dal Celimi". Non aveva finito di dirlo che un corpulento ammiraglio scivolò lungo la scalinata travolgendo un'altra persona». Niente di rotto, niente di grave: il professore ne aveva solo fatta un'altra delle sue. Mirella Serri «Per i suoi saggi su carne morte e diavoli, era circondato da dicerie: ma lui scherzava sulla fama di "Innominabile"» «Croce e Cecchi lo stroncarono Per noi era come Gadda o Palazzeschi» Un'immagine della casa-museo arredata da Praz in stile Impero

Luoghi citati: Castel Sant'angelo, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Roma