Monorchio: Romano mi stima Ciampi non mi può cacciare di Massimo Giannini

Monorchio: Romano mi stima Ciampi non mi può cacciare Monorchio: Romano mi stima Ciampi non mi può cacciare nelle retrovie ministeriali, alle spalle cioè dei ministri e dei sottosegretari, qualche abbozzo di «spoil system» finisce con l'intravedersi. Lo inaugurò il governo Berlusconi. E ora, stando ai gossip di palazzo, ci sta riprovando anche il governo Prodi. Con alterne fortune. Come nel caso del grand commis per eccellenza, e cioè, appunto, il Ragioniere generale dello Stato Monorchio. Che è poi, nel vasto mondo delle gerarchie pubbliche, l'unico ad essere eletto a vita, insieme al governatore della Banca d'Italia. Per rimuoverlo, cioè, serve addirittura una legge. Di qui, finora, la complessità del presunto tentativo. Che per altro, secondo gli stessi gossip di palazzo, non partirebbe tanto da Prodi, che del Ragioniere ha in effetti grande stima. A volerne la testa pare invece sia il leader del pds Massimo D'Alema, che gli rimprovera un'eccessiva dùnestichezza con il Polo e una certa gelosa «segretezza» nella custodia dei conti pubblici. E poi, a far temere fin da subito per le sue sorti, è stato proprio l'arrivo di Ciampi al Tesoro. Perché con Ciampi, in passato, Monorchio qualche momento di frizione ce lo ha avuto. A parte le differenze, abissali, di cultura e di carattere: tanto è aperto e loquace Andrea - calabrese, ex guardia forestale, mattatore nel salotto di Maria Angiolillo e «Narciso dei numeri», come lui stesso si definisce - tanto è riservato e austero Carlo Azeglio. Il rapporto tra i due s'incrinò nel marzo del '94: quando, pochi giorni prima della presentazione della Relazione trimestrale di cassa, uscì fuori sulla stampa una tabella galeotta, attribuita alla Ragioneria, nella quale si parlava di un «buco» di 15 mila miliardi nel fabbisogno. Allarme nei ministeri, allarme a Palazzo Chigi, dove l'allora premier Ciampi convocò Monorchio per un chiarimento. E lui, il Ragioniere, oggi la ricorda così: «Non ci fu nessuna polemica tra noi, io gli spiegai e gli dimostrai che quella tabella non era roba della Ragioneria, e tutto finì così». Oddio, non proprio tutto, visto che quell'incidente diede la stura a Berlusconi per tuonare contro il governo e il suo «bilancio falso in disprezzo del Parlamento», e chissà, magari gli diede un'arma in più per vincere, il 27 marzo, le elezioni. Comunque, secondo Monorchio, quella è acqua passata. Forse ha ragione lui, a giudicare dal buon clima con il quale Ciampi lo ha accolto ieri l'altro nel suo ufficio, e dal fatto che lo stesso Ciampi, con i ministeri accorpati e con i due nuovi capi di ga¬ binetto che si accinge a nominare al posto degli uscenti Calabro e Lamanda, accentrerà i poteri nelle sue mani. 0 forse ha torto, a giudicare invece dalle solite voci, che ne parlano (promoveatur ut amoveatur...) come del futuro presidente della fondazione Banca di Roma. La poltrona di Monorchio, in questi giorni di convulso passaggio di poteri, non è comunque l'unica appetibile. Lo sono anche tutte quelle che attribuiscono, a chi le occupa, un molo-chiave nell'econo- mia. Il Ragioniere dello Stato, appunto, forse unico «Teseo» capace di orientarsi nel labirinto dei 6000 capitoli di spesa del bilancio dello Stato. Il presidente della Cassa depositi e prestiti, onnai l'unico sportello istituzionale attraverso il quale si può ancora finanziare il sistema dell'impresa pubblica, sfuggendo alla seme di Bruxelles; i segretari generali delle Poste (cui competeranno pratiche spinose come la spartizione del business delle telecomunicazioni e delle Tv! e delle Finanze (cui toccherà invece il delicato passaggio al federalismo fiscale); e poi ancora le ambitissime Authority sull'energia (già varata), e sulle telecomunicazioni (ancora da varare). Su tutte queste poltrone siedono grand commis storici, come appunto Monorchio, o come Giuseppe Falcone, da 18 anni alla Cassa DdPp; oppure reduci del governo di destra, come il Guido Salerno piazzato alle Poste da Pinuccio Tatarella o il Claudio Zucchelli piazzato alle Finanze da Giulio Tremoliti. E su tutte queste poltrone, prima o poi, potrebbero insediarsi i nuovi potenti voluti dall'Ulivo. Con un equilibrio che, visti i sacrifici l'atti sui ministeri (solo tre), alla fine potrebbe arridere per compensazione a Lamberto Dini. Il neo-mimstro degli Esteri - che come capo di gabinetto per la Farnesina sta scegliendo in queste ore tra Umberto Vattani, ambasciatore a Bonn, e Silvio Fagiolo, rappresentante di Palazzo Chigi alla conferenza intergovernativa - potrebbe forse ottenere il vertice della Cassa depositi e prestiti per un suo candidato come Giuseppe Borgia, provveditore dello Stato. E magari, alla fin fine, convincere D'Alema a risparmiare proprio Monorchio, di cui è amico: «Insieme ricorda il Ragioniere - abbiamo fatto tante battaglie, fin da quand'era al Tesoro...». Ne farà anche con Ciampi? Al finale del romanzo dei grand commis manca onnai solo l'ultimo capitolo... Massimo Giannini

Luoghi citati: Bonn, Bruxelles, Salerno