«Niente foto di Cecchi Gori sul giornale» di Maria Grazia Bruzzone

«Niente foto di Cecchi Gori sul giornale» EDITORI CONTRO «Niente foto di Cecchi Gori sul giornale» E sulla Nazione di Riffeser torna l'eterna faida €FIRENZE ECCHI Gori non esiste. Il direttore della Nazione Riccardo Berti guarda le foto della Fiorentina in festa sparse sul tavolo e sbuffa: «Ma sto' cavolo di Cecchi Gori è dappertutto. 'Un ce n'è una in cui non appaia il su' faccione da salvatore della patria. Non lo sopporto. Toglietelo dalle foto, dai titoli e metteteci Batistuta, che viene pure meglio». Fatto. Cecchi Gori non esiste. L'ultima versione dell'eterna faida fiorentina precipita nell'orwelliano, ma poi vira rapidamente verso il ridicolo perché la vittima della censura non è un personaggio in disgrazia, ma l'uomo del giorno. Il presidente della Fiorentina, della Coppa Italia, della Firenze che dopo vent'anni è tornata a vincere qualcosa. E' una storia dispettosa e non poteva nascere che qui: vi partecipano politici, artisti, calciatori, giornalisti e di straforo persino un cardinale. Agli estremi della faida si fronteggiano Vittorio Cecchi Gori - Vcg per gli amici, per i nemici uno spazio bianco - e Andrea Riffeser, l'editore della Nazione e del Carlino che sogna un giornale unico del Centro Italia che venda mezzo milione di copie e assomigli allo «Usa Today»: poche parole, tante foto e meno giornalisti che si può. I due signorotti dei media stanno uno con l'Ulivo e l'altro col Polo, ma hanno entrambi un'ombra (padre, nonno) da emulare. Rampolli delle dinastie di Mario Cecchi Gori e Attilio Monti, i due sembrano avere scelto la Nazione come campo di una battaglia da vincere soprattutto con se stessi. Appeso a un labile confine fra incredulità e arrabbiatura il pubblico assiste alla faida intasando il centralino del giornale con domande acidule e quindi perfettamente a tono: «O che il presidente Cecchi Gori è sparito? 'Un presiede più? Dove l'avete messo, tiratelo un pochettino fuori!». I cronisti si vergognano e accumulano nuova tensione sopra una vicenda editoriale già disperante. 11 direttore, lui non si vergogna: chiuso nella sua stanza, volge le spalle a un ca¬ sco da pompiere che viste le circostanze forse farebbe meglio a mettersi in testa. «Ogni tanto anche a un direttore possono girare, no?». E' cominciata l'altra settimana, quando Vittorio Cecchi Gori ha saputo che alla Nazio ne stavano tagliando gli straordinari. Si è offerto di comprare il giornale «sul qua le ho imparato a leggere»: fra¬ se che ha subito attirato addosso ai cronisti più anziani una quantità di inevitabili battute. Riffeser non soltanto ha respinto la proposta, alquanto vaga: si è addirittura offeso. «Per comprare servono soldi. Cecchi Gori pensi prima a restituirmi quelli che mi deve: un miliardo e 400 milioni di pubblicità». L'altro gli ha dato del bugiardo: «Ma se ti ho appena dato quattro miliardi!». Dice Franco Zeffirelli: «In questa città ci si azzuffa da secoli, ma sempre per i soldi, gli interessi, il potere. Per delle pulsioni, mai per una passione. Grandi amanti, a Firenze, non se ne sono mai cantati». E non ne canteremo nemmeno noi, ai quali la sorte ha dato in pasto il meno romantico dei riti: un'.assemblea sindacale. Sabato 18 maggio: mentre la Fiorentina di Cecchi Gori vinceva la Coppa, i poligrafici della Nazione entravano in sciopero e Riffeser, con una decisione senza precedenti, decideva di «mettere in libertà» anche i giornalisti: in sostanza, di non pagargli la giornata. Più di cento persone si adunavano sotto i cancelli del giornale. Arrivava la solidarietà del sindaco Primicerio, del cardinale Piovanelli, perfino del comando militare. Il presidente della Regione, Vannino Chiti, improvvisava un comizietto, ma le guardie giurate lo invitavano a spostarsi sul marciapiede: «Questa è proprietà privata». Anche Chiti ha cessato di esistere sul giornale. Ieri il direttore Berti ha fatto togliere all'ultimo minuto un pezzo su di lui, coprendolo con la pubblicità. «Prima Cecchi Gori, poi io. La Nazione sembra il Tribuna Ludu di Ceauseacu», dice Chiti, ex comunista. «Adesso - intima -, o il direttore smentisce la doppia censura o si dimet¬ te». Berti non smentisce e non si dimette: «Se si dovesse dimettere lui per ogni puttanata che fa!». Sono fiorentini, dobbiamo capirli. «Siamo fiorentini, e nel casino generale il fiorentino emerge sempre. Tutti questi dell'Ulivo, da Chiti a Cecchi Gori e su fino al cardinale, speculano sulle nostre difficoltà. Mi sono sentito scavalcato... Basta, mi è passata. Se domani Vittorio compra un centravanti, giuro che gli metto la foto in prima pagina». Massimo Gramellini «Il cda torni com'era una volta. E la gestione vada al direttore generale» no, in caso di stallo del Parlameno. Ma la convocazione dei capigruppo è un puro alibi. Una legge non l'hanno neppure loro. Da setUmane aspetto il testo del pds». Che nello stesso Ulivo ci siano delle divergenze, pare del tutto vero. Rifondazione, per esempio, la egge a cui stanno lavorando nel pds (quella del «doppio livello»: ga¬ che prevede una sorta di fondazione, a cui farebbe capo anche Tiri, cui spetterebbe la nomina del cda», spiega Diego Masi, capogruppo di Rinnovamento. Ed è così che, mentre la legge nativa è pronto il nome di Fabiano Fabiani, disposto all'incarico, ma solo temporaneamente e senza lasciare la Finmeccanica. Maria Grazia Bruzzone hi i l ilV Il regista Franco Zeffirelli «A Firenze ci si azzuffa da secoli, ma sempre per i soldi, gli interessi, il potere Mai per una passione» In alto: l'editore Andrea Riffeser

Luoghi citati: Firenze, Italia