Juve incubi da scacciare

•2 ALLA FINALE La grande sfida di Roma raccontata da chi ha già vissuto emozioni cosi intens Juve, incubi da scacciare Bettega: ho perso due finali, questa no TORINO. Ci sono sconfitte che si trascinano e non si cancellano mai, al contrario delle vittorie che durano un giorno. Bettega è uno che ha vinto 7 scudetti, eppure andiamo tutti in processione a ricordargli due notti da dimenticare, a Belgrado e ad Atene, per capire se avverte nel futuro immediato della Juve le stesse vibrazioni. «Vorrei provare a discutere del presente e del futuro», dice. Invece è il passato che ritorna. L'Avvocato giudica la Juve di oggi più forte di quella che perse con l'Ajax nel 73, ma più debole di quella battuta dall'Amburgo 10 anni dopo. Lei, Bettega, è d'accordo? «Parzialmente, perché alla prova dei fatti la Juve di Belgrado, sebbene avesse davanti un'avversaria fortissima, giocò meglio di quella di Atene che aveva grandi nomi. Conta chi sta meglio nel momento decisivo». Beh, questo Ajax sembra un ospedale. «Ma chiunque giochi, è sempre l'Ajax ad andare in campo. Se Van Gaal pensa di farci abbassare la guardia piangendo sulle assenze vuol dire che ci considera poco». Van Gaal ha anche dichiarato che il calcio italiano è arretrato rispetto al suo. E' vero? «Penso che sia lui ad avere un'idea arretrata del nostro gioco. Si ò fermato al calcio camaleontico di qualche anno fa, quando ci adattavamo agli avversari. Oggi la Juve ha una personalità pari a quella dell'Ajax e il loro gioco mi sembra sempre lo stesso, da anni. Solo che invece di Bergkamp c'è Litmanen, cambiano gli uomini di fantasia». Che vi spaventano? «C'è gente con grande tecnica e un uomo, Blind, che mi pare determinante nell'equilibrio del loro gioco. Io vorrei che la Juve sapesse fare la Juve: a quel punto avrei grande fiducia. Non dico che vinceremmo di sicuro ma giocheremmo una grande partita». Il possesso di palla dell'Ajax contro il vostro pressing: può essere la chiave di lettura? «E' un po' quello che pensano tutti. Gli olandesi ti sfiancano, ho l'impressione che cercheranno di far fare a noi la partita ma non sarebbe la prima volta che ci succede. Noi sappiamo fare fiammate e siamo una squadra diversa dal Milan che hanno battuto un anno fa». Anche nel '73 l'Ajax vi sconfisse dopo aver conquistato la Coppa l'anno prima contro l'Inter. «I precedenti valgono per le statistiche ma le situazioni non sono mai le stesse. L'anno scorso il Milan era rimaneggiato in attacco e Van Gaal fu molto prudente: cominciò con Ronald De Boer centravanti, solo durante la partita capi che poteva rischiare e mise dentro le punte. Insomma è inutile affidarsi agli spunti del passato». Eppure le due esperienze che lei ha vissuto da calciatore dovrebbero aver insegnato qualcosa. Ad esempio su come preparare la vigilia. «Purtroppo non c'è una ricetta sicura. Prima di Belgrado andammo sei giorni in ritiro in un monastero e fu un disastro. Nell'83 ci portarono al mare, in un bell'albergo, per non ripetere quell'errore e giocammo anche peggio. Credo che l'unica ricetta sia di non farsi cavalcare dall'evento e mi dà ottimismo vedere che la squadra è molto più serena di chi le sta attorno». Dopo la sconfitta dell'Italia nel Mondiale americano, Gigi Riva disse che i giocatori avrebbero capito cosa avevano perso soltanto qualche anno dopo. Lei quando capì di aver perso due Coppe dei Campioni? «Ad Atene. Era la mia ultima partita con la Juve, tre giorni dopo sarei partito con il Canada, non avrei più avuto altre chances. Nel '73 invece avevo 22 anni e una carriera davanti: mi dicevo che mi sarebbero toccate altre occasioni. Anche per questo parlo più volentieri della partita di Belgrado». Del Piero ha più o meno l'età che aveva lei quella sera. Vivrà le stesse emozioni? «Io non giocai bene. Lo so perché di quell'evento mi rimangono solo i flash confusi: il lungo sottopassaggio, i problemi nel ritiro, il gol di Rep a freddo. Non ebbi la lucidità per fotografare la partita e dunque non fui ben presente in campo. Del Piero invece ha già giocato la finale di Coppa l'anno scorso, è stabilmente in Nazionale. Penso abbia una maturità diversa dalla mia di allora». E di Atene cosa le rimane? «L'immagine dei tifosi che al mattino trovammo accampati all'aeroporto. Erano a pezzi». C'è un rituale con cui lei preparava le partite? «Il giorno della gara mi isolavo dalla famiglia, non telefonavo». Lo rispetterà questa volta? «No, è cambiato il ruolo ma soprattutto non mi sembra il caso di ripeterlo, visti i risultati». Nei giorni scorsi Ravanelli ha dichiarato: «La Juve ha un paio di vantaggi, il primo è di non aver mai vinto questa Coppa». Anche lei ha rimosso il successo dell'Heysel? «Quella finale fu vinta meritatamente ma nessuno ne potè gioire e senza gioia non c'è il successo. Come moltissimi juventini pure io sentirei questa come la prima Coppa: vincerla è stato il primo pensiero da dirigente. Lo dissi: vinciamo il campionato per poter ripro¬ vare in Coppa dei Campioni». Lippi sostiene che questa molla ha caricato pure il Milan quest'anno. Non è che per i grandi club ormai lo scudetto è soltanto un obiettivo di passaggio, mentre quello vero è l'Europa? «Lo scudetto è ancora il simbolo del trionfo più completo. Ma per noi, almeno finché non avremo conquistato una Coppa di cui essere felici e orgogliosi, la Champions League rimarrà una splendida ossessione. Della quale vorrei liberarmi a Roma». Marco Ansaldo «Non abbassiamo la guardia per le assenze tra gli olandesi e Van Gaal vedrà che sbaglia se ritiene vecchio il nostro giocW D UEFA CHAMP10NS LE AGUE •2 ALLA FINALE Lippi, Vialii e Ravanelli: è il momento delle grandi strategie; a sinistra, Bettega e sopra Del Piero, la stella di Coppa