Ruiz, il gusto di raccontare di Lietta Tornabuoni
Ruiz, il gusto di raccontare Ruiz, il gusto di raccontare Tra realtà e immaginazione quattro esistenze si confondono CANNES DAL NOSTRO INVIATO E' incantevole «Trois vies & une seule mort» (Tre vite e una sola morte) di Raoul Ruiz: e non soltanto per merito di Marcello Mastroianni che vi recita quattro ruoli diversi con ammirevole naturalezza, bravura e simpatia; non soltanto per la pluralità dell'approccio (brillante, filosofico, surreale, poetico) e per l'asciutta eleganza imparata da Bufiuel; non soltanto per i capricci divertenti come la viva antipatia del protagonista verso le fate («le detesto più di ogni cosa al mondo») o dell'autore verso lo scrittore Carlos Castaneda (al solo sentirlo nominare Mastroianni fa le corna, e lasciando Anna Galiena le chiede un'unica cosa: «Promettimi che non leggerai mai più Carlos Ca| staneda»). Soprattutto, il film, che nella seconda parte un poco si perde, affronta il problema così contemporaneo della identità con leggerezza affascinante, racconta con instancabile fantasia e grazia umoristica, è un esempio bello d'intelligenza al cinema. Una domenica d'agosto a Parigi («Siamo alla fine del secolo», ricorda un narratore alla radio), tossendo Mastroianni va a! caffè, compra sei pacchetti di sigarette, attacca discorso con Feodor Atkine, gli offre champagne e mille franchi l'ora per stare ad ascoltarlo («sono molto solo»); racconta d'esser stato vent'anni prima inquilino dell'appartamento dell'interlocutore e marito di quella che è ora la moglie dell'interlocutore, d'essere uscito una mattina senza più tornare andando ad abitare di fronte. Poi elimina l'in¬ terlocutore con un colpo d'ascia in testa e toma nella casa e dalla moglie di entrambi, senza dare spiegazioni. Le altre storie sono ugualmente impassibili, realistiche e surreali insieme. Un celebre docente universitario di «antropologia negativa» sceglie di diventare un mendicante di successo (accetta dollari, ma rifiuta con spavento le lire italiane) restando sempre meticoloso e metodico, guadagnando quanto guadagnava da professore. Il padrone d'una ricca casa offre anonimamente il suo appartamento e una somma mensile a Chiara Mastroianni e a suo marito, innamorati e disoccupali, a condizione che non licenzino mai il maggiordomo: che è il padrone, sempre Mastroianni. Un uomo d'affari vede materializzarsi quella famiglia che s'era inventato. E' grande il gusto di raccontare mettendo insieme probabile e impossibile, realtà e immaginazione, mescolando le solite leggende metropolitane e le più originali fantasie nelle tre, quattro esistenze di Mastroianni che s'intersecano e confondono; ed è grande il piacere per gli spettatori. «Tre vite e una sola morte» ha tutte le qualità che mancano all'ultimo film in concorso, lo spagnolo «Tierra» del regista basco Julio Medem, un'altra storia di sdoppiamento di personalità maschile (con l'aggravante che uno dei due potrebbe essere un angelo) e di doppi amori (per la ribelle ipersessuata, per la dolce casalinga): ma così brutto che ci si chiede come sia finito a Cannes, sia pure nella coda del festival. Lietta Tornabuoni
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