Nelle «liste nere» Rai film, attori, produttori? di Simonetta Robiony

Dopo la polemica di Giuseppe Ferrara Dopo la polemica di Giuseppe Ferrara Nelle «liste nere» Rai film, attori, produttori? Difficoltà per Grillo, Poli, Dario Fo e per il cinema politico di Rosi e Petti ROMA. Liste nere alla Rai. L'ipotesi suggestiva e inquietante l'ha rilanciata l'altro giorno il regista Giuseppe Ferrara presentando il suo film «Giovanni Falcone», in onda su Canale 5 stasera per ricordare la strage di Capaci. «Io sono sulla lista nera - ha detto Ferrara - è per questo che i miei film sulla Rai non vengono mai trasmessi». L'ipotesi di un elenco, magari in ordine alfabetico o invece no, in ordine cronologico, con tanto di nomi e cognomi, titoli, interpreti, un elenco che passa di mano in mano da un dirigente all'altro della tv pubblica, aggiornato ad ogni tornata di nomine e controfirmato pure dai vari direttori, e sono tanti, che si sono succeduti alla testa delle tre reti, fa sorridere. Possono esserci però personaggi scomodi. Qualche anno fa se ne parlò a proposito di Gianpaolo Sodano che avrebbe stilato davvero una lista di nomi di registi, più che di titoli, pronta ad uscire dai cassetti per scoraggiare questo o quel produttore. E l'esistenza della misteriosa lista l'avrebbe svelata proprio un produttore per giustificare il suo improvviso no a un autore deluso. Certo è che, liste o non liste, il cinema italiano impegnato degli Anni Sessanta e Settanta in tv s'è visto poco o niente. La Rai ci ha abboffato di Totò, di Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, poveri ma belli, medici della mutua, vigili zelanti e mariti traditi, ma quante volte sono passati in tv in prima serata «Il bandito Giuliano», «La sfida», «Le mani sulla città» di Francesco Rosi, Francesco Rosi tutti e tre opere di alto valore civile e facilissima lettura? E perché Elio Petri, quello di «Todo modo», di «La proprietà non è più un furto», di «la classe operaia va in Paradiso», pur essendo morto da quattorici anni non ha mai avuto diritto a un ciclo tutto per sé? E «Il sospetto» di Citto MaseUi con uno strepitoso Gianmaria Volontà chi è mai riuscito a vederlo se non quei quattro gatti che lo scoprirono nel pomeriggio d'ima domenica d'agosto del '77? E «Achtung banditi» di Lizzani, «Giordano Bruno» di Giuliano Montaldo, «Trevico-Torino» di Scola,«Quartiere» di Silvano Agosti? A guardare il cinema italiano in televisione sembra che i nostri registi abbiano raccontato solo storie da ridere e in nessun caso e per alcuna ragione, si siano provati a riflettere sulla società, a denunciarne vergogne e miserie, a svelare i trucchi del potere, a mettere il dito sulla piaga di quel viluppo affaristico-delinquenziale che ha rallentato la crescita del Paese. La scusa, mai ufficialmente dichiarata, è che i film d'impegno non fanno ridere e la gente la sera a casa ha voglia di farsi quattro risate. Regola che evidentemente vale solo per il nostro cinema visto che, se passi al teatro, l'assunto si capovolge tant'è che vanno in tv, con difficoltà infinite e molte precauzioni, gli italianissimi ed esilaranti Dario Fo, Roberto Benigni, Beppe Grillo, per non parlare di Paolo Poli, scomparso dal video da almeno un decennio. Simonetta Robiony Francesco Rosi

Luoghi citati: Capaci, Roma, Torino, Trevico