La seconda fila della nomenklatura
F F IL PALAZZO =1 La seconda fila della nomenklatura sottosegretari... Chissà come saranno, quelli - e quelle - dell'Ulivo... Comunque siano, una volta giurato e una volta preso possesso dell'ufficio e dell'automobile, sarebbe carino e forse pure doveroso che rivolgessero un pensierino affettuoso ai tanti loro predecessori ripiombati nel gran dimenticatoio della storia. Un attimo di raccoglimento da dedicare ai vari Abis, a caso, o Nucci, Guerrini, Righetti, Occhipinti e Scovacricchi. Ai Tantalo, ancora, o ai Cacchioli, ai Tiriolo, ai Fracassi, ai Russo (Ferdinando e Vincenzino), ai Mancini (Vincenzo) e poi anche ai Palleschi e ai Venturini, che di quest'ultimo almeno si ricorda il «laticlavio» confuso con il «clavicembalo» e quell'irresistibile sproposito: «Tranquilli, parlerò per sketch». Un pensierino grato, insomma, a tutti quei sottosegretari - e sono legione - di cui nulla è rimasto. Glielo si deve, se non altro, perché poche cose più di questa sotto-carica sotto-istituzìonale inaugurata nel 1888, ma mai regolamentata, condensano il mistero tutto italiano di uh potere di serie-B che trascende le sue funzioni originarie per situarsi in una dimensione di codificata e rarefatta irregolarità. Una seconda fila della nomenklatura che ha offerto ottimi legislatori come Galasso e personaggi a rischio come Lima. Una seconda scelta comprendente quel Lettieri che, alla guida della polizia nel pieno del caso Moro, convocò al Viminale il giornalista che aveva sbagliato il titolo di studio, ma pure quel misconosciuto Tarabini, che conosceva come poi nessun altro l'amministrazione del Tesoro. So-tto-se-gre-ta-rio: già l'ardua e sonora sillabazione, a pensarci bene, rimanda a una specie di mitico limbo, con ricadute letterarie (Flaiano, Longanesi) e cinematografiche (dalla prima commedia all'italiana al recente Bidoni di Farina). E tuttavia pare legata soprattutto al numero, e alle sue magiche risorse d'accreI scimento, la fortunata anoI malia dei sottosegretari. Quanti debbano essere, infatti, non s'è mai capito bene. Certo non è consolante che nel 1947 si fosse pensato di farne totalmente a meno. Ma per come è finita - e sempre con gli occhi all'oggi - appare quantomeno significativo che già in quel frangente un giovane rappresentante della categoria, Giulio Andreotti, minacciasse per scherzo uno sciopero contro la paventata abolizione dei sottosegretari. Che non solo rimasero, ma dalla ventina che erano si moltiplicarono vertiginosamente, con effetti surreali, vedi la leggenda dello scontro automobilistico sulla Colombo (governo Rumor), e i due vice-ministri che si minacciavano l'un l'altro a colpi di «lei non sa chi sono io». E così via fino ai 59 dei governi Craxi, ai 61 di Goria, ai 65 di De Mita, ai 69 di Andreotti, appunto, record assoluto di spartizioni della Prima Repubblica, inesorabile tributo al Manuale Cencelli, ma anche efficacissimo pretesto per accontentare appetiti di bande, consolare ministri trombati, lusingare peones sbandati. Anche per queste articolazioni che poco hanno a che fare con il governo vero e proprio, la scelta dei sottosegretari ha creato zuffe terribili. Proprio nel presentare un suo governo, con incomprensibile distacco, Cossiga spiegò una volta che i muri della stanza dove si erano svolte le trattative «grondavano sangue». Ora, è probabile che con Prodi la nomina sia meno cruenta. Ma per capire chi comanda, e se il governo fa sul serio, un'occhiatina alla qualità e alla quantità dei sottosegretari diventa più che necessaria. Filippo Ceccarelli sili | sottosegretari... Chissà come saranno, quelli - e quelle - dell'Ulivo... Comunque siano, una volta giurato e una volta preso possesso dell'ufficio e dell'automobile, sarebbe carino e forse pure doveroso che rivolgessero un pensierino affettuoso ai tanti loro predecessori ripiombati nel gran dimenticatoio
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