«Cendrillon» che favola di Giorgio Pestelli

Torino, gradevole e riuscita l'opera di Massenet proposta dal Regio Torino, gradevole e riuscita l'opera di Massenet proposta dal Regio «Cendrillon», che favola Ironia, divertimento e leggerezza Bravissima la Gasdiaprotagonista TORINO. «Cendrillon», cioè la «Cenerentola» di Perrault divenuta «opera fiabesca» di Henri Cain e Jules Massenet, è andata in scena al Regio per la prima volta nel nostro secolo. CàrlpJ. Majer, nell'esplorazione della sterminata produzione di Massenet, ancora più che con la «Esclarmonde» di qualche anno fa, mi sembra abbia avuto la mano felice con questa «Cendrillon» rediviva che potrebbe davvero rientrare in circolazione accanto a «Manon» e «Werther»: un'opera gradevolissima, fine, un vetro soffiato. Ma non è solo un disimpegnato regalo per feste natalizie; almeno due cose vanno registrate a favore della nostra cultura: il «settecentismo», l'evocazione di una età aurea, come in Ciaikovski e altri, e l'anello di congiunzione che «Cendrillon» costituisce con il teatro musicale di Ravel. Una novità rispetto alla favola conosciuta è la vena di paterna tenerezza che unisce Cenerentola e a suo padre Pandolfe, occasione a duetti tenerissimi; cattiva matrigna e sorelle pettegole conducono invece il filone buffo e ironico, sottolineato da Massenet. con una magistrale leggerezza nella scrittura dei fiati; la parte più lirica, cioè quella di amore l'elice fra Principe e Cenerentola, è l'unica che andrebbe sfoltita con qualche robusto taglio; su tutto, la vocalità celestiale, simbolica, della fata: come si vede, un incastro di diverse scritture, una sceneggiatura tutta musicale che costituisce il meglio dell'opera. Lo spettacolo è armonioso e graziosissimo e rallegra tutti sapere che è pure costato poco perché coprodotto da quattro teatri: oltre al Regio, l'Opera di Cardiff, di Montecarlo e di Tolosa. Cecilia Gasdia è perfetta nella parte della protagonista, canta e si muove con affascinante naturalezza nel registro gioioso come in quello melanconico: commovente la sua entrata in scena, in un'ombra di struggente ballata popolare, secondo esempi illustri di Rossini e di Gounod. Anche gli altri sembrano nati per la parte: Martine Dupuy, un Principe «mezzosoprano» per accentuare la stilizzazione fiabesca, Ewa Malas-Godlewska, soprano coloratura con un invidiabile picchiettato di gola per i suoi acuti stellari, Joyce Castle (la matrigna), bravissima, lei e le due sorelle cattive Maryse Castets e Gloria Parker, a formare lo spassoso terzetto. 11 baritono Michel Trempont tratteggia a tutto tondo la figura di Pandolfe; in apertura era un po' giù di voce, poi è cresciuto in incisività e volume. Ha diretto Bruno Campanella: molto bene, curando i due toni, la spigliatezza ironica, e la sottolineatura espressiva, la leggerezza sognante; anche l'orchestra, però, è sembrata più presente e autorevole nella seconda parte della serata che nelle prime scene: la musica Luigi XIV che accompagna la melanconia del Principe con il contorno di liuto, viola d'amore e flauto si è sentita troppo poco. Sorpresa quanto mai gradita la regìa di Robert Carsen per la scenografia fine e intelligente di Michael Levine: regìa scorrevole, ricca di annotazioni e trovate, ma tutte garbate e inerenti al racconto e alla sostanza musicale. Giorgio Pestelli Una scena dello spettacolo, diretto molto bene da Bruno Campanella

Luoghi citati: Cardiff, Montecarlo, Tolosa, Torino