«Così è nata la mattanza»

« LE URLA DI REGBNA €OELl « Così è nata la mattanza Un ex partigiano: li portavano via e noi in cella gridavamo assassini ROMA. Dalla deposizione del signor Remo Pellegrini, pensionato, ex dirigente generale del ministero dei Trasporti. «Ero comandante partigiano, del gruppo di Meuccio Ruini. Fui arrestato dalla banda Koch e portato alla pensione Iaccabrino. Lì fui torturato per dieci giorni. Organizzarono anche una finta fucilazione alla presenza di mio padre. Dopo dieci giorni di torture non ne potevo più. Volevo solo morire. Poi fui portato a Regina Coeli. Venni ricoverato nell'infermeria del carcere. Nel portarmi, passai vicino al IV braccio, quello dei prigionieri che venivano da via Tasso. C'erano due casse da morto di legno grezzo, appoggiate alla parete. Con la vernice nera avevano scritto i nomi. Mi ricordo solo Della Morte, l'altro nome non me lo ricordo più. Ci battei la tirano sopra, erano piene. Guardai il secondino. Quello mi disse sottovoce: i tedeschi li portano moribondi, muoiono qui... Tra noi delle celle, era un fatto notorio che a via Tasso c'erano tre belve feroci: Kappler, Schultz e Priebke. Quando arrivavano i prigionieri, non si reggevano in piedi. Come lo sapevamo? Parlavano le guardie.... Sentii dalla mia cella die i tedeschi portavano via la gente. Dalla cella vicina alla mia chiamarono Enrico Fondi. Rimasi stupito. Aveva i capelli bianchi, perché avevano scelto lui per portarlo a lavorare al Nord? Bussai energicamente alla porta. Mi aprirono. C'era un ufficiale tedesco con una lista in mano. Ho cancellato il viso, non posso dire se era Priebke o un altro. Ricordo che era molto giovane e che parlava italiano. Io protestavo: portate anche me. Lui: ma non sei «Noi desapevaa via c'erano e una era carcere mo che Tasso tre belve Priebke» sull'elenco. Io: controllate. Alla fine mi diede un calcio e mi gettò in cella... In cortile c'era grande agitazione. Noi guardavamo dalle finestre. C'erano degli ufficiali tedeschi, ma non posso dire onestamente se c'era l'imputato. Ho visto un gruppo di 50-60 persone che si avviava verso i camion. Ci avevano detto che andavano al Nord, deportati a lavorare. Ma ho riconosciuto uno che era in barella, un mio amico, il sottotenente Alberto Fantacone. Gli mancava la rotula del ginocchio per un incidente di guerra, per questo non camminava. Riconobbi anche altre due persone che da civili lavoravano nel mio ufficio. Uno aveva un occhio di vetro, era invalido della prima guerra mondiale. Capii che non li portavano a lavorare, ma alla morte. Era una mattanza. Cominciai a urlare: Assassini! Assassini! Tutti cominciarono a urlare. L'intero braccio di Regina Coeli entrò in tumulto. I tedeschi spararono due-tre raffiche di mitra verso le finestre. Poi passarono per le celle a chiedere chi aveva gridato... Tornai al carcere di Regina Coeli per portare la spia che ci aveva traditi, un tal Scarpetti. Ce lo avevamo portato il giorno prima, ma quello aveva raccontato di essere un partigiano e che noi eravamo i fascisti. Gli inglesi ci cascarono. Lo vidi da un tram a piazza Vittorio, mi buttai giù e lo afferrai per un orecchio. Era un gigante alto due metri. Ma in quel momento piagnucolava. L'ufficiale inglese che ora comandava la prigione mi fece vedere una lista scritta in tedesco. Tutti quelli che dovevano morire: il primo era Buozzi, poi quelli uccisi a La Storta», [fra. gri.] «Noi del carcere sapevamo che a via Tasso c'erano tre belve e una era Priebke»

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