Il disonore dell'ammiraglio

E Il capo della Us Navy si è sparato per timore di un'intervista Il disonore dell'ammiraglio Suicida per le decorazioni «rubate» LA SINDROME DELL'EROE E m to per salvare altri morti. Si è sparato un colpo al cuore per non tradire i caduti di Guadalcanal e gli eroi di Midway, le vittime di Beirut e i marinai che dormono da mezzo secolo sul fondo torbido della rada di Pearl Harbor. Jeremy Boorda, «l'ammiraglio tascabile» che aveva portato il metro e 60 centimetri della sua piccola statura dall'uniforme di marinaio semplice a quella di massimo comandante della US Navy, si è ucciso perché un settimanale aveva scoperto che indossava due decorazioni false. Una miserabile bugia, questa di cucirsi due nastrini immeritati fra altri 16 legittimi, una bugia che a noi civili sembra molto veniale e certamente figlia dei suoi complessi di inferiorità, della sua ansia di inadeguatezza che neppure le quattro stelle di primo ammiraglio della Marina erano riuscite a curare, di fronte all'immensità opprimente di un mito. Ma 1'«ammiraglio tascabile» ha preferito andare a fondo con la sua vita, per non umiliare la United States Navy. Ha lasciato due lettere, due messaggi d'addio agli amori di una vita: una lettera alla Marina, che aveva sposato 40 anni or sono, e un'altra alla moglie Bettie, che era con lui da 37 anni. E nel messaggio ai 430 mila uomini e donne che indossano oggi l'uniforme della US Navy, Boorda confessa di essersi ucciso per vergogna, per sfuggire al pensiero di avere imbarazzato proprio lui - il comandante della grande nave, l'uomo qualunque divenuto ammiraglio, il liceale somaro che aveva lasciato la scuola per arruolarsi a 16 anni mentendo sull'età - la grande balena blu, la Marina, nel cui ventre aveva trascorso l'esistenza. E' impossibile non pensare al capitano Achab, a Moby Dick, alla ossessione che sostiene tutta una vita e finalmente la consuma, leggendo la biografia di questo figlio cinquantasettenne di ebrei ucraini immigrati che era riuscito a scalare per primo nella storia americana tutti i gradi militari, dal più umile al più eccelso. E' impossibile non vedere come la caccia ai gradi, all'onore, al rispetto degli altri ufficiali, tanto più alti di lui, tanto più nobili nel loro pedigree scritto dalla sussiegosa accademia navale, lo abbia schiacciato alla fine, nella mezz'ora di automobile fra il suo ufficio al Pentagono e la sua residenza nell'arsenale della Marina, sul fiume di Washington, il Potomac. Quando era uscito dal ministero della Difesa, appunto il Pentagono, Boorda aveva respinto con un gesto brusco l'autista, si era messo al volante dell'auto di ordinanza ed era scappato via, in direzione dell'Arsenale e della sua casa. Sapeva che nel primo pomeriggio, alle 2 e 30, due giornalisti di «Newsweek» lo avrebbero intervistato per chiedergli spiegazioni sulle due medaglie al valore, i due nastrini con la «V» riservati ai militari che hanno dato prova di eroismo sotto il fuoco nemico, che aveva smesso di indossare un anno fa, quando si era sparsa la voce che fossero fasulli. Sapeva che loro sapevano, che quelle decorazioni non risultavano negli archivi del Pentagono, e che lui, come ufficiale di cacciatorpedinieri nel Golfo del Tonkino, comodamente al largo del Vietnam, non era mai stato veramente «sotto il fuoco». Dunque aveva usurpato le due «V», ma come? quando? e soprattutto perché? erano le domande alle quali avrebbe dovuto rispondere «Risponderò dicendo la verità» aveva detto a un collaboratore, a un contrammiraglio che gli aveva chiesto preoccupato, quella mattina, come avrebbe affrontato i giornalisti. E la ve, rità è stata quel proiettile calibro I 38, che si è sparato nel petto da¬ vanti alla sua casa, in una base della «sua» Marina, da una pistola che apparteneva al genero, dunque non sua, non di ordinanza. Non può essere stata una scelta casuale. E' come se avesse voluto risparmiare alla Navy l'indegnità di uccidersi con un'arma di servizio, destinata ai nemici dell'America, non ai suoi figli in divisa. Dal Pentagono all'Arsenale il percorso è breve, facile, rallentato soltanto dal traffico sui ponti che attraversano il Potomac. Quando uscì dal Pentagono, Boorda aveva già deciso di andare a fondo con le sue bugie appuntate sul petto, aveva già scritto - il giorno prima - le lettere di addio. Ma se ci fosse stata ancora una speranza di ripensamento quel percorso finale, in auto, lo ha distrutto. Dal parabrezza della sua limousine, il piccolo ammiraglio ha visto attraversando il ponte la collina degli eroi veri, il bianco delle croci di Arlington sui prati verdi dove riposano i caduti, il profilo lontano del mausoleo di Lincoln, sotto i cui piedi di marmo stanno i nomi dei 58 mila soldati, aviatori e marinai uccisi in Vietnam, il profilo lontano del Campidoglio, l'obelisco del monumento a George Washington, i simboli gloriosi e per lui improvvisamente insopportabili di una storia che deve averlo schiacciato. Di fronte a quei monumenti, a quei simboli, il capitano Achab deve essersi sentito Pinocchio. Un bugiardo senza altro riscatto che il suicidio del samurai sconfitto, del comandante affondato. Oggi è quasi insopportabile ascoltare l'ipocrisia funebre del comandante supremo, il presidente Clinton, dei compunti senatori della Repubblica, dei colleghi in divisa «blue navy», tutti affannati a ricordare quanto fosse grande, magnifico, unico, fantastico. Ma qualcuno, fra quegli ufficiali in blu e bianco che oggi piangono, aveva fatto sapere ai giornali che i due nastrini con la «V» erano fasulli, magari per vendicare un vecchio sgarbo o per aprire la strada a «cordate» di ammiragli concorrenti. E come avrebbero trattato Boorda i politici, Clinton, i senatori, in un anno d'elezioni, quando si fosse saputo delle decorazioni false? Come un lebbroso. Sparandosi con la calibro 38 del genero, il marinaio che aveva cominciato la sua carriera con una bugia anagrafica (disse di avere 17 anni quando ne aveva soltanto 16) e l'ha finita per una bugia, ha salvato il suo nome, il suo ricordo e, soprattutto la sua Marina da un altro, da un ennesimo scandalo. Il sangue, come dimostrò Kennedy, lava le colpe della cronaca e consegna la gloria postuma. Ma la Marina che Boorda guidava dal 1994 non era la US Navy di John Wayne e di Glenn Ford, di Midway e di Okinawa, la «fidanzata» d'America che vedevamo «ringraziare» dal regista e dai produttori nei titoli di coda dei film eroici, mentre la banda suonava a pieni ottoni «Salpare l'ancora», l'inno della Marina. E' un corpo ancora enorme eppure smagrito dalla fine della Guerra Fredda e dal disavanzo pubblico (quattrocento navi contro le seicento di Reagan) un organismo scosso dalla febbre della integrazione sessuale forzata, che aveva visto cadere il predecessore di Boorda, ammiraglio Kelso, e altri pezzi grossi, non sotto le bombe elei kamikaze o i missili dei pasdaran, ma sotto il tiro della «politicai correetness» indignata da storie di orge e pal¬ peggiamenti e molestie fra marinai e mannaie. Boorda era già stato accusato, proprio sul giornale interno della Marina, il «Navy Times», di avere sacrificato carriere altrui alla demagogia dei politici, per salvare la sua. Ne soffriva molto. L'ammiraglio tascabile «aveva la pelle sottile» mormorano oggi i suoi attendenti, si lasciava deprimere dai problemi e dalle accuse. Forse. Ma nessuna pelle avrebbe comunque potuto fermare un proiettile calibro 38 sparato nel petto, a sinistra. Proprio nel posto delle medaglie, vere o false. Vittorio Zucconi Si era attribuito due medaglie che spettano solo a chi ha rischiato la vita in guerra intervista aglio ubate» Sabato 18 Maggio 1996 11 Si era attribuito due medaglie che spettano solo a chi ha rischiato la vita in guerra agini raglio oorda. con la one » a chi ha la vita uoco e i Due immagini dell'ammiraglio Jeremy Boorda. A destra con la decorazione con la «V» riservata a chi ha rischiato la vita sotto il fuoco nemico e durante la guerra del Golfo

Luoghi citati: America, Arlington, Beirut, Lincoln, Vietnam, Washington